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OMCI - Organismo di Mediazione

Omci - Organismo di Mediazione e Conciliazione Italia

26
Aprile
2024

Anche le spese del procedimento di mediazione fanno parte delle spese del giudizio e sono regolate sulla base del principio della soccombenza, in linea con la ratio dell’istituto avente funzione deflattiva;

Corte di Cassazione, Sezione II, 29.2.2024, ordinanza n. 5389.

SINTESI: Questa controversia in materia condominiale iniziava con la domanda davanti al Giudice di Pace di Parma avanzata dal Condominio Fratelli Be. nei confronti della condòmina Be.An., per la rimozione di due fioriere poste nell'area comune.
Il Giudice di Pace accoglieva la domanda e il Tribunale di Parma confermava la decisione rigettando l'appello della convenuta condòmina, previo accertamento che l'area occupata dalle fioriere non era di proprietà esclusiva dell'attrice ma condominiale (attraverso l'esame dei titoli) e che l'occupazione di tale area aveva impedito agli altri condomini di farne pari uso. In particolare, era stato accertato che Be.An. aveva acquistato un diritto di passaggio pedonale sulle aree circostanti la sua unità immobiliare ed un diritto d'uso limitato alla metà della porzione cortilizia antistante.
La condòmina Be.An.  proponeva ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, tutti ritenuti inammissibili (i primi due) e infondati (gli altri due) dalla Corte.
Con il quarto motivo di ricorso, la condòmina aveva dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 92 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., per ultrapetizione, per avere il Tribunale condannato la ricorrente anche alle spese sostenute per il procedimento di mediazione in assenza di domanda del Condominio vittorioso.
La Corte rileva che, dalla lettura dell’art. 13 del D.Lgs. 4.3.2010, n.28, ratione temporis applicabile, si evince chiaramente che anche le spese del giudizio di mediazione fanno parte delle spese del giudizio e sono regolate sulla base del principio della soccombenza, soluzione che è, peraltro, in linea con la ratio dell'istituto, avente funzione deflattiva. La Corte ha ritenuto che per il loro riconoscimento è sufficiente la prova dell'esborso, non richiedendosi una specifica domanda. Nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente confermato la condanna della convenuta, soccombente in tutti i gradi, alle spese di mediazione in considerazione del suo rifiuto a concludere l'accordo conciliativo sulla base di una proposta di conciliazione del mediatore accettata dal Condominio e rifiutata dalla ricorrente.
Il ricorso viene dunque rigettato e la ricorrente condannata al pagamento di un ulteriore importo a titolo di doppio del contributo unificato.

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Ultimo aggiornamento Venerdì, Aprile 26 2024
  
23
Aprile
2024

E’ procedibile l’azione preceduta dall’esperimento del procedimento di mediazione in luogo della negoziazione assistita;

Tribunale di Napoli, 28.04.2023, sentenza n. 4416, Giudice Estensore Pisciotta.

SINTESI: Il caso in esame riguarda una vertenza in materia di indennità ex art.843 c.c., preceduto dal tentativo di mediazione.
Parte convenuta eccepiva, tra le varie, l'improcedibilità dell'azione per il mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita.
In merito, il Tribunale ha così statuito:

  • sia la mediazione che la negoziazione assistita sono strumenti finalizzati alla risoluzione stragiudiziale delle controversie e a deflazionare il contenzioso giudiziario;
  • la differenza principale tra i due istituti è che nella negoziazione gli avvocati hanno un ruolo centrale nella ricerca dell'accordo, mentre nella mediazione il ruolo centrale è delle parti;
  • inoltre, il procedimento della mediazione segue un percorso conciliativo di maggiore e migliore efficacia;
  • per tali ragioni, il procedimento di mediazione è assorbente rispetto al procedimento di negoziazione assistita e prevalente sullo stesso nelle ipotesi di azioni contenenti più domande che richiedono l'applicazione di entrambi gli istituti;
  • l'esperimento del tentativo di mediazione in luogo del procedimento di negoziazione assistita risponde, comunque, alla ratio della normativa in tema di negoziazione assistita;
  • anche se la controversia fosse stata soggetta alla procedura di negoziazione assistita, l'esperimento della mediazione rende l'azione procedibile;

Pertanto, il Tribunale ha rilevato che nel caso in esame, la condizione di procedibilità sia stata soddisfatta, essendo stato validamente attivato il procedimento di mediazione, e per tale motivo ha rigettato l'eccezione preliminare di improcedibilità dell’azione.

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Ultimo aggiornamento Martedì, Aprile 23 2024
  
17
Aprile
2024

Impugnazione di una delibera assembleare: se l’istanza di mediazione è troppo generica, la successiva domanda giudiziale viene dichiarata improcedibile e inammissibile l’impugnazione per intervenuta decadenza;

Tribunale di Roma, 29.02.2024, sent. n. 3910, giudice Maria Grazia Berti.

SINTESI: Un condomino intendeva impugnare una delibera assembleare, depositava quindi l’istanza di mediazione, chiedendo la convocazione del Condominio, ma motivando semplicemente la domanda con una sola indicazione:
Impugnazione delibera assembleare del ….”

La mediazione aveva esito negativo e il condomino chiamava quindi in giudizio il Condominio, producendo il verbale di mediazione e illustrando, stavolta, nella domanda giudiziale, i motivi per i quali chiedeva al Tribunale di accertare e dichiarare la nullità e/o l’annullabilità e/o, comunque, l’illegittimità e l’invalidità della delibera suddetta.
Il condominio convenuto si costituiva in giudizio, impugnando e contestando le deduzioni attoree ed eccependo, in via preliminare, l’improcedibilità della domanda e la conseguente tardività della impugnazione.
Il convenuto rilevava che l’attore aveva sì invitato il condominio in mediazione, chiedendo genericamente l’impugnazione della delibera, senza tuttavia specificare i motivi di impugnazione e i vizi della delibera, rendendo di fatto non assolta la condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 e, di conseguenza, tardiva l’impugnazione.
La difesa del convenuto sosteneva infatti che l’istanza di mediazione fosse priva dei requisiti minimi per la sua validità e che fosse da considerarsi quindi non assolta la previsione dell’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 28/2010 che specifica come nell’istanza debbano essere indicati “l’oggetto e le ragioni della pretesa”.
Il Tribunale di Roma concordava pienamente con quanto dedotto dal convenuto e dichiarava quindi improcedibile l’impugnazione della delibera, condannando anche l’attore soccombente al pagamento delle spese di lite.
Il Giudice Maria Grazia Berti illustrava esaustivamente i motivi della decisione:

  • Vista la ratio deflattiva della mediazione, l’istanza con la quale si intende impugnare una delibera assembleare deve necessariamente avere un contenuto minimo che è quello indicato dall’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 28/2010 che poi è praticamente equivalente al dettato dell’art. 125 c.p.c. circa il contenuto degli atti processuali (esclusi solo gli “elementi di diritto”)
  • Se manca, come nel caso di specie, qualsiasi riferimento ai singoli motivi di imputazione che costituiscono, fra l'altro, ciascuno autonoma causa petendi o ancora del petitum, è impedito alla parte chiamata non solo di conoscere la materia del futuro contendere, ma anche di partecipare con cognizione di causa al procedimento di mediazione
  • Nel caso di specie la mancata indicazione degli elementi essenziali dell'istanza ha, fra l'altro, impedito ai condomini di valutare in assemblea l'opportunità o meno di autorizzare l'amministratore a prendere parte a tale procedimento, sostenendone i relativi costi (la mediazione era evidentemente avvenuta ante Riforma Cartabia)
  • Una domanda di mediazione generica sotto il profilo del petitum e della causa petendi non può quindi considerarsi validamente espletata e comporta l'improcedibilità della domanda. Il Tribunale di Roma non ritiene condivisibili le deduzioni dell'attore il quale riteneva che l'istanza così formulata, pur ammettendo la sua genericità, sarebbe stata comunque sufficiente a consentire la partecipazione di parte convenuta la quale avrebbe pur sempre potuto chiedere maggiori delucidazioni nel corso del primo incontro. 
    L'improcedibilità della domanda giudiziale comporta per giunta la definitiva inammissibilità dell'impugnazione della delibera assembleare per intervenuta decadenza: l'effetto interruttivo del termine, prodotto dall'instaurazione del procedimento di mediazione, non può dirsi realizzato in presenza di un'istanza e di un procedimento svolto in modo irregolare.
    Se in altri casi sarebbe possibile, per il giudice, rimandare le parti in mediazione per l'esperimento di un'ulteriore procedura conciliativa, in questo caso sarebbe un'iniziativa in contrasto con la specifica normativa dettata per la decadenza dei termini, e ad ogni modo non consentirebbe di sanare la tardività dell'impugnazione qualora tempestivamente eccepita dalla parte.
    Consentire ad un soggetto di avvalersi del beneficio dell'impedimento della decadenza con la mera presentazione di un’istanza che non presenti i requisiti minimi di validità, significherebbe infatti svilire l'istituto della mediazione ad un mero adempimento burocratico, in contrasto con la ratio ad essa sottesa ed incentivare il suo uso meramente dilatorio, a beneficio di un'unica parte.
    Una domanda di mediazione generica sotto il profilo del petitum e della causa petendi non può quindi considerarsi validamente espletata e comporta l'improcedibilità della domanda di mediazione depositata.
    La mancanza del contenuto minimo dell'istanza di mediazione comporta perciò anche la mancata corrispondenza fra l'istanza di mediazione stessa e la domanda giudiziale.
    Il Tribunale di Roma ricorda quindi cosa sia previsto dalla norma come necessarie indicazioni da inserire nell'istanza di mediazione in caso di impugnazione di una delibera assembleare:
    la delibera che si intende impugnare;

  • l'enunciazione del provvedimento (nullità o annullabilità) che si intende richiedere al giudice in ipotesi di fallimento della conciliazione;

  • la sintetica indicazione dei motivi di impugnazione (causa petendi).

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Ultimo aggiornamento Mercoledì, Aprile 17 2024
  
15
Aprile
2024

Sopraelevazioni in condominio: i vani ricavati sul terrazzo vanno abbattuti se violano condizioni statiche e aspetto architettonico;

La realizzazione di una tettoia sul terrazzo, poi trasformata in soggiorno e cucina, è illegittima se non rispetta i limiti dell’art. 1127 c.c. (Tribunale Velletri n. 512/2024).

SINTESI: 1. Il caso

Un condomino, residente all'ultimo piano di un edificio, aveva inizialmente costruito una tettoia "ad elle" sul proprio terrazzo, trasformandola successivamente in due distinti vani: un soggiorno con annessa cucina e un ripostiglio. Tali modifiche avevano portato, secondo la valutazione effettuata dal consulente tecnico d'ufficio incaricato di valutare la situazione, ad un incremento del peso sostenuto dal fabbricato, quantificato in circa 100 chili per metro quadrato.Alla luce di tale intervento, veniva chiesta la demolizione e/o rimozione delle opere realizzate con il contestuale ripristino dei luoghi in quanto in contrasto con il regolamento condominiale e l’art. 1127 del Codice civile.

2. L’art. 1127 del Codice civile e i limiti sottesi

L’art 1127 del Codice civile dispone che il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano non è assoluto ma incontra alcune limitazioni.Il primo limite è che la facoltà di sopraelevazione può essere esclusa per effetto di un titolo contrario. Il secondo limite è subordinato alla circostanza dell’idoneità statica del fabbricato a sopportare la nuova costruzione. Infine, l’ultimo limite prescritto si concretizza nel pregiudizio all’aspetto architettonico dell’edificio e della notevole diminuzione dell’aria e/o della luce derivanti dalla sopraelevazione. Il caso di specie, analizzato dal Tribunale di Velletri con sentenza n. 512, del 04-03-2024, si sofferma espressamente su due limiti:

  • la condizione statica dell’edificio in cui viene realizzata la sopraelevazione;
  • turbamento delle linee architettoniche.

3. Le condizioni statiche dell’edificio

Le condizioni statiche dell’edificio rappresentano un ostacolo al sorgere ed all’esistenza stessa del diritto di soprelevazione. Il limite delle condizioni statiche si sostanzia nel potenziale pericolo per la stabilità del fabbricato derivante dalla sopraelevazione.L’accertamento di tale pericolo costituisce poi oggetto di un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Corte di Cassazione sentenza del 30 novembre 2012, n. 21491). La stessa Cassazione precisa che la norma non fa riferimento ad un accertamento delle condizioni statiche, né ad opere di consolidamento, vietando pertanto la sopraelevazione quando la statica risulti inadeguata a sostenerla (Corte di Cassazione sentenza del 29.1.2020, n. 2000). In un’ottica ancor più restrittiva rientra la sopraelevazione realizzata in violazione delle specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche: tale divieto va interpretato nel senso che il divieto sussiste anche nel caso in cui non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia inidonea a fronteggiare il rischio sismico (Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza del 12.2.1987, n. 1541; Corte di Cassazione sentenza del 15.11.2016, n. 23256). In tali casi i condomini possono opporsi alle nuove opere, incompatibili con le condizioni statiche dell'edificio, a prescindere da ogni rafforzamento o consolidamento che il sopraelevante fosse disposto ad eseguire, così rafforzando la natura di limite assoluto alla stessa esistenza del diritto riconosciuto al proprietario dell'ultimo piano (Corte di Appello Napoli, 9.3.2006). Nel caso di specie, il Tribunale di Velletri, dando per scontato che l’intervento debba essere qualificato come sopraelevazione, evidenzia come la realizzazione dei due vani abbia incrementato il peso sul fabbricato per circa 100 chili al metro quadrato (secondo quanto riportato dalla perizia). Il Tribunale, nel valutare la condotta della parte convenuta, sottolinea l'importanza della dimostrazione della sicurezza antisismica dell'opera eseguita e dell'edificio nel suo complesso. Tale dimostrazione avviene tipicamente attraverso la presentazione di una progettazione antisismica specifica che includa un'analisi dettagliata della struttura complessiva e delle fondamenta del fabbricato. In questo caso, però, tale prova non è stata fornita dalla parte convenuta (come evidenziato anche dalle osservazioni del Consulente Tecnico d'Ufficio). Il Tribunale, richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali, pone l'accento sulla necessità di una rigorosa aderenza alle normative di sicurezza, specialmente in contesti condominiali.L'intervento di sopraelevazione, nel caso di specie, è stato realizzato senza una corretta progettazione antisismica e senza le dovute verifiche tecniche pregiudica la sicurezza strutturale dell'edificio, violando la normativa antisismica.

4. L’aspetto architettonico del fabbricato

La questione dell'impatto estetico e architettonico è il secondo limite richiamato dall’art. 1127 cod. civ. ed è stato oggetto di specifica attenzione da parte della giurisprudenza. La sentenza del Tribunale di Velletri offre un'importante interpretazione in merito alla distinzione e al contempo alla relazione esistente tra la nozione di "aspetto architettonico" e quella di "decoro architettonico", così come delineate all'articolo 1120 del Codice Civile italiano. Il Tribunale chiarifica che, benché le due nozioni siano distinte, esse non possono essere considerate in modo completamente separato l'una dall'altra quando si tratta di interventi edificatori, in particolare le sopraelevazioni. In realtà già la Corte di Cassazione con sentenza del 24 aprile 2013, n. 10048, aveva delineato la distinzione tra le nozioni di "decoro" e "aspetto architettonico", sottolineando come il limite estetico sia rappresentato non dal mancato abbellimento, ma piuttosto dall'alterazione o dal pregiudizio arrecato al decoro e all'aspetto architettonico dell'edificio, precisando che l'analisi dell'impatto architettonico di una sopraelevazione debba concentrarsi sulle caratteristiche estetiche visivamente percepibili dell'edificio, considerato nella sua autonomia stilistica (Corte di Cassazione sentenza del 23 luglio 2020, n. 15675).

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Ultimo aggiornamento Lunedì, Aprile 15 2024
  
05
Aprile
2024

La valutazione delle prove nel processo civile;

La valutazione delle prove nel processo civile è un'attività regolamentata dall'art. 116 comma 2 c.p.c, che lascia libero il giudice di effettuare le sue valutazioni in base al suo prudente apprezzamento, salvo eccezioni:

  • Cos'è la valutazione delle prove
  • I principi fondamentali in tema di prove (Anche per le Mediaziioni) ove si ricorda che il tutto è sottoposto agli artt. 103-200 C.P.P.
  • Il prudente apprezzamento delle prove libere
  • Le prove legali
  • Contegno delle parti e argomenti di prova

Cos'è la valutazione delle prove

La decisione del giudice in ordine a una controversia sottoposta alla sua attenzione dalle parti deve fondarsi sulla valutazione delle prove raccolte durante il processo. Tale valutazione segue regole e criteri individuati dall'ordinamento. A questo proposito, di particolare importanza appaiono le disposizioni contenute nell'art. 116 c.p.c., che regolano l'attività del giudice in questa delicata fase del giudizio.

I principi fondamentali in tema di prove

Preliminarmente, è opportuno ricordare alcuni fondamentali principi del processo civile in tema di acquisizione delle prove al giudizio. Innanzitutto, va ricordata la regola basilare dell'onere della prova: in base all'art. 2697 del codice civile l'attore provare i fatti costitutivi del proprio diritto, di contro il convenuto è tenuto a dimostrare gli eventuali fatti modificativi, impeditivi o estintivi dello stesso. Detto questo, va anche ricordato che, in base al principio di acquisizione della prova, il giudice è libero di porre a fondamento della propria decisione qualsiasi prova, a prescindere dalla parte che ne abbia proposto l'acquisizione. Ciò significa, in sostanza, che una prova potrebbe anche essere utilizzata a sfavore di chi ne ha chiesto l'ammissione. Infine, va anche ricordato il principio di disponibilità delle prove, secondo cui i mezzi di prova devono essere acquisiti su richiesta di parte (o del Pubblico Ministero), fatta eccezione per i casi in cui la legge prevede la possibilità di acquisizione d'ufficio, cioè per iniziativa del giudice (cfr. art. 115 c.p.c.). Quest'ultima norma prevede inoltre, al comma 2, la possibilità per il giudice di fondare la propria decisione su nozioni che rientrano nella comune esperienza.

Il prudente apprezzamento delle prove libere

Ciò premesso, l'art. 116 c.p.c. si occupa di regolare l'attività di valutazione delle prove da parte del giudice.La regola fondamentale, al riguardo, è che il giudice è libero di valutare le prove secondo il proprio prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga diversamente. Ciò significa che, una volta ammesse e assunte le prove, il giudice possa scegliere quale o quali di esse porre a fondamento della decisione finale, in base a un ragionamento che segua le regole della logica e della comune esperienza. Di tale valutazione, ovviamente, il giudice deve rendere conto nelle motivazioni della sentenza, spiegando le ragioni per le quali ha ritenuto determinate prove dotate di maggior forza di convincimento rispetto ad altre.

Le prove legali

La regola del prudente apprezzamento del giudice conosce delle eccezioni, poiché vi sono dei casi in cui il valore di una prova non è rimesso alla libera valutazione del giudice (seppure guidata dalle regole della logica e della comune esperienza), ma è predeterminato dalla legge: si tratta delle c.d. prove legali.È quanto accade, ad esempio, nel caso delle prove documentali come l'atto pubblico oppure nella confessione e nel giuramento: in tali circostanze, il giudice deve di regola dare per provato quanto affermato dal dichiarante, diversamente da quanto accade nella testimonianza (che, invece, è considerata prova libera).

Contegno delle parti e argomenti di prova

Il secondo comma dell'art. 116 c.p.c. infine autorizza il giudice a desumere argomenti di prova dalle seguenti circostanze:

  • risposte delle parti in sede di interrogatorio libero (disposto ai sensi dell'art. 117 c.p.c.);
  • rifiuto ingiustificato delle parti a consentire le ispezioni (ordinate ai sensi dell'art. 118 c.p.c.);
  • contegno delle parti nel processo.Al riguardo, va segnalato che la riforma del processo civile Cartabia ha previsto conseguenze processuali e sanzioni pecuniarie nei seguenti casi, (anche quando è stata eseguita una Mediazione prima):rifiuto non giustificato di consentire l'ispezione di persone o cose ordinata dal giudice, alle parti o a terzi, per conoscere i fatti della causa, ai sensi dell'art. 118 c.p.c (condanna alla pena pecuniaria da Euro 500 a Euro 3000);

  • rifiuto o inadempimento non giustificato dell'ordine di esibire in giudizio un documento o un'altra cosa, impartito dal giudice a una parte o a terzi, su istanza di parte, ai sensi dell'art. 210 c.p.c (condanna della parte alla pena pecuniaria da Euro 500 a Euro 3000 e condanna del terzo a una pena pecuniaria da Euro 250 a Euro 1.500).

In generale, comunque, va detto che gli argomenti di prova non sono sufficienti, da soli, a fondare la decisione finale del giudice, ma possono servire a quest'ultimo per orientarsi nell'attività di valutazione delle prove acquisite al giudizio, Tranne quando si tratta di una Mediazione in quanto il tutto è sottoposto a Segretezza e Riservatezza Artt. 103 e 200 C.P.P..

Sul tema, può essere utile ricordare una pronuncia della Corte di Cassazione, secondo cui, "la norma dettata dall'art. 116, comma 2, c.p.c., nell'abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell'interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre «argomenti di prova», e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze" (Cass. civ., n. 443/02).


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Ultimo aggiornamento Lunedì, Aprile 08 2024
  
01
Aprile
2024

La mediazione svolta in grado d’appello riguarda l'intero oggetto del processo, vale a dire la complessiva domanda risarcitoria come formulata, in linea con Cass. S.U. n. 3452 del 2024;

Corte di Cassazione, Sez. I, 27.03.2024, ordinanza n. 8248, consigliere relatore Eduardo Campese.

SINTESI: In una vicenda di diffamazione, nel 2012 un giudice citava in giudizio alcuni giornali chiedendo la loro condanna in solido al risarcimento del danno in seguito ad un articolo di stampa, richiamato in una trasmissione televisiva, a contenuto diffamatorio. Il tribunale adito dichiarava la propria incompetenza per territorio per violazione del diritto alla riservatezza e condannava le società convenute a risarcire la somma di Euro 160.000 oltre una somma a titolo di riparazione pecuniaria, rigettava la domanda nei confronti di un terzo soggetto e rigettava la domanda di rimozione degli articoli.
I giornali appellavano la sentenza avanti alla Corte d’appello di Brescia, che in parziale riforma, condannava gli stessi al pagamento della somma ridotta di Euro 60.000. Gli appelli, principale ed incidentale vengono ritenuti parzialmente fondati. Seguendo il precedente Cass. n. 23072 del 2022, la Corte d’appello ribadiva che, affinché possa intendersi rispettata la condizione di procedibilità dell'esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, è necessaria l’esatta corrispondenza tra il petitum e la causa petendi dell'istanza di conciliazione e quelli della successiva domanda giudiziale.
Avverso tale sentenza, il giudice diffamato proponeva ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. Con il primo motivo, il ricorrente con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., riteneva nulla la sentenza impugnata perché, violando e/o falsamente applicando gli artt. 4 e 5, del d.lgs. n. 28/2010 e gli artt. 162, comma 1, 348 e 354, comma 4, c.p.c., ha ingiustamente escluso dall'oggetto della cognizione talune dichiarazioni diffamatorie contestate in giudizio (1) sotto un primo profilo di censura, erroneamente ritenendo che in relazione alle stesse non fosse stato compiuto il procedimento di mediazione obbligatoria; (2) sotto un secondo profilo di censura, erroneamente ritenendo necessaria la sussistenza di una "esatta corrispondenza" tra la domanda di mediazione e la domanda svolta in giudizio; (3) sotto un terzo profilo di censura, erroneamente omettendo di considerare che il procedimento di mediazione era stato rinnovato in appello su indicazione della stessa Corte d'appello; (4) sotto un quarto profilo di censura, in subordine, erroneamente omettendo di ordinare l'integrazione del procedimento di mediazione.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamentava la nullità della sentenza impugnata perché con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., aveva omesso l'esame del fatto, decisivo e oggetto di discussione tra le parti, relativo all'avvenuto svolgimento, nel corso del giudizio di appello, di un nuovo procedimento di mediazione disposto ex art. 5, del d./gs. n. 28/2010 su ordine dello stesso giudice.
Gli altri motivi riguardavano la quantificazione del danno in applicazione delle tabelle approvate dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano e la presenza di un magistrato onorario nel collegio giudicante.
Il primo e il secondo motivo di ricorso riguardanti il tema della simmetria tra istanza di mediazione e domanda giudiziale, esaminati congiuntamente perché connessi, vengono ritenuti fondati. La Corte di cassazione richiamando i precedenti Cass. n. 16281 del 2019 per le controversie agrarie, Cass. n. 23072 del 2022 per le controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche e Cass. n. 28695 del 2023 (erroneamente citata con il n. 29695) secondo cui in tema di mediazione obbligatoria, allorché il convenuto eccepisca tempestivamente l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del procedimento di mediazione e il giudice erroneamente ritenga che la mediazione non doveva essere esperita, la conseguente nullità può essere fatta valere mediante appello; in tal caso, il giudice d'appello, dichiarata la nullità della sentenza, non potendo disporre la rimessione al primo giudice, è tenuto ad assegnare alle parti il dovuto termine per la presentazione della domanda di mediazione, e se la condizione di procedibilità è soddisfatta e trattare la causa nel merito, ovvero, in mancanza, dichiarare l'improcedibilità della domanda giudiziale (cfr anche Cass. n. 12896 del 2021), ritiene errata la valutazione di corrispondenza, effettuata dalla corte d’appello, tra la prima domanda di mediazione e la successiva domanda giudiziale.
La corte distrettuale ha invitato le parti ad esperire una mediazione, avvalendosi del potere discrezionale conferitole dall'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010: mediazione svolta a quel punto della lite, non poteva che riguardare l'intero oggetto del processo, vale a dire la complessiva domanda risarcitoria come formulata. Tale scelta è coerente, sotto il profilo sostanziale, con il recentissimo noto arresto di Cass., SU, n. 3452 del 2024 specie con il principio che la mediazione ha esclusive finalità di economia processuale, nel senso di evitare il proliferare di cause iscritte innanzi all'organo giudiziario, imporre un successivo, o più successivi ad ogni ulteriore domanda proposta nel giudizio, tentativi obbligatori di conciliazione, nel contempo differendo la trattazione della causa per mesi ad ogni nuova domanda proposta in giudizio, è un effetto eccessivo non voluto dalla norma rispetto allo scopo deflattivo perseguito. L'art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 estende a numerose materie la mediazione obbligatoria, al fine di evitare l’introduzione della lite ed assicurare una maggiore celerità al processo, non di ostacolarla oltre il ragionevole. Dovendosi dunque, piuttosto, secondo il legislatore pervenire - è la ratio sottesa - al processo ordinario, una volta infruttuosamente esperito il tentativo di mediazione in via obbligatoria senza che esso sia andato a buon fine, quale condizione di procedibilità da applicare al solo atto introduttivo, non a tutte le "domande" proposte nel processo. L'istituto non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle predette finalità ed essere trasformato in una ragione di intralcio al buon funzionamento della giustizia, in un bilanciamento dal legislatore stesso operato, secondo una lettura costituzionale della disposizione in esame, affinché, da un lato, non venga obliterata l'applicazione dell'istituto, e dall'altro lo stesso non si determini una sorta di "effetto boomerang" sull'efficienza della risposta di giustizia.
In sintesi, poiché corte aveva invitato comunque le parti ad una nuova mediazione, a maggior ragione avrebbe dovuto considerare come rientrante nella domanda risarcitoria, come formulata in citazione, anche gli articoli di stampa successivi. La corte d’appello ha erroneamente escluso dalla propria valutazione i fatti denunciati successivi, idonei a connotare di maggiore intensità il danno lamentato sostanziandosi in una prolungata campagna di stampa in danno del giudice diffamato.  Il ricorso viene dunque accolto e la sentenza cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, per il nuovo esame.

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Ultimo aggiornamento Lunedì, Aprile 01 2024
  
30
Marzo
2024

Responsabilità civile aggravata, in Processo o in Mediazione;;

La responsabilità civile aggravata punisce chi, in mala fede o con colpa grave, agisca o resista in giudizio o in Mediazione e chi agisca in giudizio senza la normale prudenza. La riforma Cartabia ha introdotto anche una sanzione minima di 500 e massima di 5000 euro.

  • Mala fede o colpa grave di una parte
  • Assenza della normale prudenza
  • I punitive damages
  • Riforma Cartabia: sanzione pecuniaria

Mala fede o colpa grave di una parte

Le ipotesi che l'articolo 96 riconduce alla responsabilità aggravata sono due. La prima è quella in cui la parte che risulta soccombente in giudizio ha anche agito o resistito con mala fede o colpa grave, ovverosia consapevole che la propria pretesa o difesa è infondata. La soccombenza deve essere totale e non virtuale. Quando si verifica tale ipotesi, il giudice condanna il soccombente, su istanza dell'altra parte, alle spese e al risarcimento del danno. Quest'ultimo è liquidato in sentenza, anche d'ufficio.

Assenza della normale prudenza

La seconda ipotesi è quella che si verifica quando ricorrono le seguenti due circostanze, congiuntamente:

  • in giudizio è accertata l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, è stata trascritta domanda giudiziale, è stata iscritta ipoteca giudiziale o è stata iniziata o compiuta l'esecuzione forzata;
  • l'attore o il creditore procedente ha agito senza la normale prudenza.

Quando essa si verifica, il giudice condanna l'attore o il creditore al risarcimento, su istanza del danneggiato. Anche in questo caso il danno è liquidato in sentenza, anche d'ufficio.

I punitive damages

Il terzo comma dell'articolo 96 prevede un'ulteriore ipotesi di responsabilità processuale aggravata, riconducibile all'istituto dei punitive damages e tesa a combattere l'abuso del processo.Al giudice viene infatti data la possibilità, in ogni caso, di condannare la parte soccombente al pagamento di una somma determinata in via equitativa in favore della controparte, in sede di pronuncia alle spese ai sensi dell'articolo 91 del codice di rito.

A differenza di quanto avviene nelle due precedenti ipotesi, in questa non è necessaria l'istanza di parte ma il giudice può agire anche d'ufficio.

Riforma Cartabia: sanzione pecuniaria

La riforma Cartabia, con effetto dal 28 febbraio 2023, ha arricchito la norma di un quarto comma che va a rafforzare le conseguenze negative nei confronti di coloro che si rendono responsabili di una delle forme sopra analizzate di responsabilità aggravata.La nuova disposizione prevede infatti che nei casi contemplati dai commi 1, 2 e 3 il giudice condanni altresì la parte responsabile al pagamento di una somma di denaro non inferiore ai 500 euro e non superiore ai 5000 euro in favore della cassa delle ammende.

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Ultimo aggiornamento Lunedì, Aprile 08 2024
  
29
Marzo
2024

Il verbale di raggiungimento dell’accordo di mediazione sottoposto ad un termine costituisce valido titolo esecutivo che riespande la propria completa efficacia esecutiva quando tale termine è decorso e consente di agire in via esecutiva;

Tribunale di Pistoia, 28.04.2023, sentenza n. 323, Giudice Estensore Iannone.

SINTESI: Parte attrice opponente deduceva che in sede di mediazione era stato raggiunto un accordo economico per il pagamento di una somma mensile a titolo di occupazione del capannone ed un impegno di controparte a rilasciare l’immobile dopo una determinata data e che, quindi, il verbale di mediazione poteva costituire titolo per un'eventuale esecuzione, finalizzata alla liberazione del capannone, solo successivamente alla predetta data.

Parte opposta deduceva che l’immobile non era stato rilasciato.

In merito, il Tribunale ha così statuito:

  • L’ordinanza che ha sospeso l’esecuzione è stata assunta poiché all'epoca dei fatti il termine per il rilascio non era ancora maturato;
  • Invece, alla data della presente opposizione il termine è maturato senza che la parte opponente abbia ottemperato o dimostrato di voler ottemperare a tale impegno;
  • la decisione deve essere assunta allo stato degli atti e dei fatti emergenti al momento in cui essa viene pronunciata;
  • pertanto, anche se al momento dell'intrapresa esecuzione il titolo pur esistente non era ancora operativo, alla data odierna il termine di rilascio è decorso e, pertanto, il verbale di mediazione ha riespanso la propria completa efficacia esecutiva;
  • allo stato degli atti, esiste il diritto a proseguire l'esecuzione intrapresa in virtù di un valido titolo esecutivo, ancorché al momento del suo avvio esso fosse inefficace poiché sottoposto a termine.

In Ultimo, come da Pec inviata dal Ministero della Giustizia non è Obbligatorio iscriversi nella sezione speciale elenco ADR, ma basta la Piattaforma normale.

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Ultimo aggiornamento Venerdì, Marzo 29 2024
  
23
Marzo
2024

La domanda di mediazione e la data del primo incontro devono essere comunicati personalmente alla parte invitata, non risultando sufficiente la comunicazione alla pec del legale privo di rappresentanza sostanziale in mediazione;

Tribunale di Napoli, 07.06.2023, Sentenza n. 5900, giudice Estensore Pastore.

SINTESI: ll caso in esame riguarda un’opposizione a decreto ingiuntivo in un contratto di finanziamento.

Alla prima udienza, il Giudice assegnava alle parti il termine di Legge per proporre la domanda di mediazione.
Parte opposta presentava la domanda di mediazione.
La domanda di mediazione ed il verbale del primo incontro venivano notificati alla casella PEC del legale difensore della parte opponente che non si presentava all ’incontro di mediazione e non era rappresentante sostanziale, ma solo difensore nel giudizio.
In merito, il Tribunale ha rilevato quanto segue:

  • Nella mediazione obbligatoria la condizione di procedibilitò si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo;
  • alla presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda;
  • la domanda e la data del primo incontro devono essere comunicate all'altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante;
  • al primo incontro e agli incontri successivi le parti devono partecipare personalmente con l'assistenza dell'avvocato;
  • la domanda di mediazione e la data del primo incontro vanno comunicate personalmente all'altra parte oppure al difensore che ne sia anche rappresentante sostanziale;
  • la domanda di mediazione ed il verbale del primo incontro sono stati notificati alla pec del difensore privo di rappresentanza sostanziale in mediazione;
  • pertanto, il primo incontro dinanzi al mediatore non si è svolto regolarmente e la condizione di procedibilità non si è realizzata;
  • parte opposta avrebbe potuto trasmettere la domanda e la data del primo incontro alla parte attrice personalmente.

Per tali motivi, la domanda proposta col ricorso monitorio è stata dichiarata improcedibile e il decreto ingiuntivo è stato revocato, con soccombenza delle spese processuali. Si fa presente ch non pagare la mediazione equivale a dover pagare il decreto ingiuntivo eseguito e se la responsabilità è dell'avvovato che non ha informato il suo cliente, la parte può chiedere l'annullamento del contratto e chiedeere tutti i danni, inoltre la fattura è registrata all'agenzia delle entrate tramite fattura elettronica, visimibile quindi alla guardia di finanza che come nel gratuto patrocinio, potrà fare un'ispezione. Inoltre chi non paga passa subito dalla parte del torto e quindi sarà sottoposto anche a sanzioni amministrative e il suo avvocato sarà segnalato al suo ordine nazionale, che prenderà i provvedimenti del caso.

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Ultimo aggiornamento Giovedì, Marzo 28 2024
  
15
Marzo
2024

Per iniziare una Domanda di Mediazione;

DA LEGGERE BENE PER TUTTI: NON INVIATE MEDIAZIONI SULLA PEC, MA SU Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. o su Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. ,;PER QUANTO RIGUARDA CHI VUOLE INVIARE UNA DOMANDA DI MEDIAZIONE, SIA PER L'ISTANTE SIA PER IL CONVENUTO, SI DOVRA' PAGARE SUBITO, (QUANTO RIPORTATO nella nuova domanda EDITTABILE, Sotto il Link scarica la domanda di mediazione, le indennità, sono senza IVA, ricordate quindi di fare sempre + IVA al 22%).Se si continua va pagata subito il giorno successivo la 2° indennità o al max entro 5 giorni, in quanto nessuno cosi si dimentica, visto che l'IVA va versata allo stato che ne ha sempre bisogno. Nel caso in cui non ci siano codice destinatario o pec delle parti, inseriremo pa pec del Proprio avvocato consulente difensore, in modo che sappia che il suo cliente non ha pagato, e così ci togliamo anche tutte le responsabilità che sarà della parte che non ha pagato il giorno successivo o entro 5 giorni o del proprio avvocato consulente difensore.

PER CUI PRIMA  DI INVIARE UNA DOMANDA DI MEDIAZIONE, SIETE PREGATI DI LEGGERE BENE TUTTO QUELLO CHE C'è SCRITTO, PRIMA DI CLICCARE SULLA DOMANDA DI MEDIAZIONE, è UNA SOLA PAGINA, MA ALMENO SAPRETE BENE COME E COSA FARE;

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Ultimo aggiornamento Giovedì, Marzo 28 2024
  

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