Cassazione civile, sez. VI-3, ordinanza 12/06/2019 n° 15856
Quali sono i criteri cui attenersi nella complessa operazione di liquidazione del danno derivante da fatto illecito? A chiarirlo è l'ordinanza 12 giugno 2019 n. 15856 con la quale la Corte di cassazione precisa in particolare la necessità di attualizzare il valore degli importi liquidati rispetto al momento in cui si è verificato il danno, valorizzando l’ulteriore voce del “danno da mora” ed enunciando i principi guida per la relativa quantificazione. Nel gennaio del 1998 una società operante nel settore della vendita al dettaglio di abbigliamento aveva subito gravi danni al proprio locale e alla merce a causa di un incendio sprigionatosi da un autoveicolo in sosta, in uso ad altra società. Quest’ultima e la relativa compagnia assicurativa erano quindi state citate in giudizio dalla danneggiata per sentirle condannare al risarcimento del danno subito. Con sentenza non definitiva il Tribunale di Pescara aveva rigettato la domanda nei confronti dell’assicurazione, ritenendo insussistente in tal caso la garanzia della r.c.a. Il giudizio di primo grado era quindi proseguito nei confronti della sola società convenuta. Nel frattempo la sentenza non definitiva era stata immediatamente impugnata dall’attrice e l’appello rigettato dalla Corte d’Appello dell’Aquila. Tale ultima pronuncia era stata infine cassata con rinvio dalla Corte di Cassazione nel 2012. Nelle more dei giudizi di impugnazione avverso la sentenza non definitiva il processo tra l’attrice e i convenuti era nel frattempo proseguito, concludendosi con la condanna di questi ultimi al pagamento di una somma di denaro “oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT sull’aumento dei beni all’ingrosso e agli interessi”. Ottenuta poi la cassazione con rinvio della sentenza con cui era stata rigettata la sua domanda contro l’assicuratore, l’attrice aveva riassunto il giudizio nei confronti di quest’ultimo dinanzi alla Corte d’Appello dell’Aquila. Quest’ultima aveva quantificato il danno patito dall’attrice, dichiarando che la somma dovesse intendersi espressa in moneta dell’epoca della sentenza di primo grado (depositata il 2005). Aveva stabilito inoltre la rivalutazione annuale di detta somma secondo “gli indici ISTAT sui prezzi al consumo”, dalla data del sinistro (1998) a quella di deposito della sentenza d’appello. Aveva infine liquidato il danno da mora conformandosi ai noti principi statuiti dalle Sezioni Unite con sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995 (ovvero in misura pari agli interessi al tasso legale, applicati sulla somma devalutata all’epoca del sinistro e poi rivalutata di anno in anno). La sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello in sede di rinvio era stata nuovamente impugnata dall’attrice, che aveva proposto ricorso per cassazione alla base della presente pronuncia. A fondamento del ricorso la ricorrente poneva un motivo formalmente unitario ma sostanzialmente articolato in due distinte censure. Osservava infatti che non solo la Corte d’Appello aveva liquidato il danno senza disporne la rivalutazione ma si era addirittura attestata sugli importi stimati dal consulente tecnico all’epoca del primo grado di giudizio, pervenendo quindi ad una doppia devalutazione del danno: di quello in conto capitale e di quello da mora, riducendosi inevitabilmente la base di calcolo degli interessi compensativi. Nell’esame del ricorso la Corte di Cassazione enuncia criteri e passaggi da seguire in punto di liquidazione del danno da fatto illecito. Osserva a tal proposito che tale fattispecie di danno è oggetto di un’obbligazione di valore, cioè di un debito che fin dal momento in cui sorge è per sua natura non quantificabile né monetizzabile con criteri oggettivi. Scopo dell’obbligazione risarcitoria è quello di reintegrare la perdita arrecata al patrimonio del danneggiato, consentendo di pervenire ad una condizione patrimoniale analoga a quella che vi sarebbe stata se il danno non si fosse verificato. Qualora il danno consista nella perdita di un bene suscettibile di valutazione economica, il ripristino di tale condizione avverrà surrogando la perdita con un importo monetario pari al controvalore del bene perso. Controvalore che dev’essere espresso non avendo riguardo al momento in cui si è verificato il danno ma a quello in cui avviene la liquidazione, con la conseguenza che qualora questa non avvenga con valori monetari correnti sarà necessario attualizzare il valore che il bene aveva all’epoca del danno. Nel ribadire tali principi la Corte richiama il proprio orientamento costante sul punto (si vedano, tra le altre, Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 9361 del 5 maggio 2005; sent. n. 3125 del 12.04.1990; sent. n. 2830 del 22.04.1986), precisando tuttavia che la rivalutazione del credito risarcitorio non è il solo passaggio in cui si articola l’operazione di liquidazione del danno. Qualora la liquidazione avvenga a distanza di tempo dal sinistro, al danneggiato, oltre al capitale rivalutato, può spettare infatti anche un ulteriore risarcimento: quello per l’ulteriore pregiudizio subito a causa del ritardato pagamento del credito. Sul punto la giurisprudenza ha precisato che tale ritardo nell’adempimento causa al creditore un danno ulteriore e diverso rispetto a quello primario, identificabile nell’impossibilità di investire la somma dovutagli e di ricavarne un lucro ulteriore. In difetto di specifici criteri la liquidazione di tale voce di danno avverrà necessariamente in via equitativa, anche se la forma più diffusa è indubbiamente il ricorso ad un tasso d’interesse. Il giudice chiamato ad operare in concreto tale liquidazione, procederà di regola in base a tre parametri: periodicità, saggio e base di calcolo, i cui criteri di individuazione sono stati stabiliti dalla stessa Corte a Sezioni Unite con la nota sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995, ove si legge che:
- la periodicità è sempre annuale;
- il saggio è determinato in via equitativa dal giudice in base alle circostanze concrete, dando particolare rilevo all’entità del capitale (in rapporto di proporzionalità diretta tra importo del credito e lucro finanziario perso dal creditore);
la base di calcolo può essere determinata o applicando il saggio sul capitale dell’anno in corso, previa devalutazione, per ogni anno di mora, oppure su un valore medio. Muovendo da tali premesse la Corte evidenzia l’insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo da cui risulta viziata la pronuncia della Corte d’Appello: in motivazione era stata infatti correttamente disposta la rivalutazione annuale del credito dovuto alla danneggiata, mentre nel dispositivo la Corte si era attestata su valori stimati dal consulente d’ufficio nel 2003. All’esito del giudizio il ricorso è stato pertanto accolto, con condanna della debitrice al pagamento in favore della ricorrente della somma in sorte capitale, rivalutata alla data attuale, nonché di un’ulteriore somma a titolo di danno da mora, liquidata in base al tasso di interesse legale oggi vigente.