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OMCI - Organismo di Mediazione

Omci - Organismo di Mediazione e Conciliazione Italia

14
Ottobre
2023

L’accordo di mediazione ricognitivo dell’usucapione consente l’accertamento e la dichiarazione giudiziale di acquisto per usucapione, senza necessità di fornire ed acquisire ulteriori prove;

Tribunale di Pavia, 17.04.2023, sentenza n. 503, giudice Giacomo Rocchetti.

SINTESI: Il caso in esame riguarda una vertenza in materia di usucapione di un immobile.
Parte convenuta non si costituiva in giudizio e veniva dichiarata contumace.
Il giudizio era stato preceduto dalla procedura di mediazione che aveva avuto esito positivo, essendosi concluso con un accordo innanzi ai mediatori, nel quale veniva riconosciuto l’avvenuta usucapione dell’immobile ed, in particolare, l'animus possidendi e l'esercizio in via esclusiva del possesso ultraventennale e ininterrotto dell'immobile comune del solo de cuius dapprima e successivamente, dopo l'apertura della successione, dell’attore.
Tale accordo di mediazione con contenuto evidentemente ricognitivo poteva essere trascritto.
Per tali ragioni, il Tribunale ha rilevato che l’accordo di mediazione avente ad oggetto il riconoscimento degli elementi costitutivi della domanda (ovvero il possesso ultraventennale esclusivo esercitato con le stesse modalità e caratteristiche con cui lo eserciterebbe il proprietario) è sufficiente per accertare e dichiarare l'intervenuto acquisto per usucapione ventennale, senza necessità di ulteriori prove al riguardo e, quindi, senza che l’attore debba fornire ulteriore dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto che intende far valere in giudizio.

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Ultimo aggiornamento Sabato, Ottobre 14 2023
  
13
Ottobre
2023

Per le Parti in Mediazione ed i loro Avvocati:

Solo Per ricordare a tutte le Parti in Mediazione, che per dirsi conclusa la Mediazione, devono tutti aver pagato tutto, non oltre 5 giiorni dopo la fine Mediazione, altrimenti decade tutto. Per chi non Paga invece sarà segnalato sul Verbale a disposizione del giudice, che farà il suo dovere. E' la Legge ed è nostro compito farla rispettare da tutti. La stessa cosa Vale per tutto il resto, che deve essere eseguito come da Legge e non più a Vostro piacimento. I Giudici come il Ministero, hanno già ben altro da fare per cui abbiate almeno Rispetto.

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Ultimo aggiornamento Venerdì, Ottobre 13 2023
  
13
Ottobre
2023

Accoglimento della richiesta di risarcimento danni per il tempo inutilmente perduto in mediazione obbligatoria e i relativi riflessi patrimoniali negativi;

Tribunale di Ravenna, 29.05.2023, sentenza n. 362, Giudice Massimo Vicini;

SINTESI: Un avvocato aveva incaricato, mediante specifico contratto, una società di consulenza al fine di precostituire le prove documentali finalizzate a dare fondamento probatorio alla richiesta giudiziale di recupero di somme indebitamente corrisposte dall’avvocato stesso e dalla moglie ad un istituto bancario.
Il contratto di consulenza prevedeva una serie di attività altamente tecniche quali la predisposizione di un’analisi econometrica volta a rilevare eventuali anomalie giuridico finanziare presenti nei cinque contratti bancari sottoscritti, oltre alla fornitura di assistenza legale e tecnica (CTP), ad un costo determinato, nell’eventuale causa e di un’assicurazione in caso di soccombenza.
Nelle relazioni peritali la società forniva parere favorevole al buon esito della causa, basandosi sulle risultanze delle perizie stesse e veniva quindi conferito mandato al legale di riferimento della società per la chiamata in causa della banca, previa instaurazione del procedimento di mediazione.
All’esito negativo del procedimento di recupero giudiziale, resosi necessario a seguito del fallimento della mediazione obbligatoria, l’avvocato rilevava che non era stata sottoscritta alcuna polizza assicurativa per il caso di soccombenza ed emergevano, a catena, numerose altre forme di inadempienza contrattuale che portavano l’avvocato a chiamare in causa la società di consulenza, chiedendo la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento dei danni.
Il Tribunale ravennate nella sentenza in commento, valutate le prove prodotte, accoglieva le domande attoree, dichiarando risolto il contratto di consulenza e condannando la società convenuta al risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale.
I gravi inadempimenti contrattuali riscontrati dal Giudice erano costituiti, nello specifico, dalla genericità e non adeguatezza delle informazioni raccolte, propedeutiche alla causa, che avevano determinato il collega a procedere giudizialmente, confidando invece nella preparazione specifica della società di consulenza, oltre all’inadempimento all’obbligo contrattuale di prevedere copertura assicurativa in caso di soccombenza. Per quel che a noi più interessa rilevare in questa sede, i danni risarciti non erano costituiti solo dalla somma complessivamente versata alla società di consulenza, ma comprendevano anche 
- Le spese di mediazione inutilmente sostenute e - I riflessi patrimoniali negativi di tutto il tempo perduto dall’attore e di tutta l’attività svolta dal medesimo per mettere la società di consulenza e i professionisti designati dalla stesa nelle condizioni di poter espletare gli incarichi a loro conferiti da contratto.

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Ultimo aggiornamento Venerdì, Ottobre 13 2023
  
09
Ottobre
2023

Con la sanzione della censura l’avvocato non può esercitare l’attività di mediatore;

Consiglio Nazionale Forense, 11.07.2023, sentenza n. 153

L’avv. [X] richiedeva al COA di Milano una richiesta di revisione della sanzione della censura, comminata nel 2012 dal COA di Milano (confermata dal CNF e dalla Corte di Cassazione), chiedendone la commutazione nella più mite sanzione dell’“ammonimento” (o avvertimento). Egli lamentava che la sanzione della censura, seppur risalente nel tempo, fosse per lui ostativa rispetto all’assunzione della qualifica di mediatore. Rilevava inoltre che “alla luce dell’intervento della nuova normativa del Codice deontologico e delle sanzioni previste con la riforma del 2013, le pregresse sanzioni potrebbero essere talora derubricate” e richiamava la sentenza n. 63/2019 della Corte costituzionale in tema di retroattività delle sanzioni amministrative più favorevoli.
Sulla richiesta si pronunciava il COA di Milano, rigettandola con la seguente motivazione: “Vista la richiesta, considerato che l'art. 22 c. 3 del Codice deontologico si riferisce alla determinazione della sanzione in sede di procedimento disciplinare e non si ritiene possa trova applicazione dopo la definitività della sentenza, si respinge”. La relazione interna del procedimento rileva che, premesso che l’articolo 22, comma 3 del CDF può trovare applicazione solo nel corso del procedimento disciplinare e non dopo che il provvedimento sia divenuto definitivo, l’effetto preclusivo è ascritto alla sanzione della censura direttamente dall’articolo 4, comma 3, del d.m. n. 180/2010.
Avverso tale delibera del COA di Milano l’avv. [X] inoltrava ricorso al CNF che viene dichiarato inammissibile sotto un duplice profilo. In primis perché tardivo. Inoltre, sotto altro profilo, in quanto mira a modificare una sanzione pacificamente divenuta definitiva all’esito del rigetto del ricorso per cassazione proposto dall’avv. [X]. L’avvocato invocava una sorta di limitata efficacia temporale delle sanzioni disciplinari, in analogia con quanto previsto in sede civile a proposito della c.d. actio judicati.
Il CNF ha stabilito che - ammesso che l’Organo disciplinare possa incidere su una sanzione definitiva solo nei casi previsti dalla normativa vigente (art. 55 della Legge 247/2012), ove ricorrano gli specifici e gravi presupposti ivi declinati – tali requisiti sono prima facie estranei al contenuto e motivi dell’odierno ricorso.
L’Organo disciplinare esorbiterebbe dalle sue funzioni, in assenza di una facoltà espressa prevista dalla legge, ove determinasse, come vorrebbe invece il ricorrente, limitazioni anche temporali all’efficacia di una sanzione per cui non è prevista una durata o un termine di efficacia, peraltro al sol fine di incidere in un ambito, quello dell’accesso alla qualifica di mediatore, completamente estraneo alla funzione disciplinare. Solo un intervento del legislatore sulla specifica norma ostativa per il ricorrente, potrebbe mitigare le preclusioni conseguenti alla formulazione attuale dell’ art. 4 comma terzo lett. c) del d.m. 180/2010.
L’art. 4, comma 3, lettera c) del predetto d.m. impone al responsabile della tenuta del registro istituito presso il Ministero della giustizia di verificare la presenza di una serie di requisiti in capo al mediatore. In particolare, per il possesso del requisito dell’onorabilità il mediatore non deve avere riportatoa) condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa; b) interdizioni perpetue o temporanee dai pubblici uffici; c) misure di prevenzione o di sicurezza; d) sanzioni disciplinari diverse dall’avvertimento.

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Ultimo aggiornamento Lunedì, Ottobre 09 2023
  
07
Ottobre
2023

La domanda di mediazione deve ricalcare la futura domanda di merito, includendo tutti e gli stessi elementi fattuali che saranno introdotti nel futuro giudizio ma non è necessario inquadrare giuridicamente il fatto;

Tribunale di Roma, 13.06.2023, sentenza n. 9450, giudice Fabio De Palo;

SINTESI: La controversia condominiale aveva ad oggetto l’impugnazione di una delibera assembleare e il Condominio resisteva eccependo preliminarmente l'inammissibilità della domanda e contestandone nel merito la fondatezza. Parte convenuta inoltre preliminarmente eccepva l'inammissibilità dell'impugnazione per decorso del termine ex art. 1137 cod. civ. in conseguenza dell'asimmetria tra La Domanda di mediazione e l'atto introduttivo del presente giudizio. Tale eccezione viene ritenuta fondata dal Tribunale.

La Domanda di mediazione era chiaramente riferita alle sole delibere di "approvazione bilancio consuntivo 2019 e consuntivo 2020" che venivano genericamente contestate "per attribuzione somme non dovute dall'istante". L'impugnazione giudiziale è stata invece indistintamente estesa a tutte le delibere - adottate nell'assemblea in oggetto - sulla base di un diverso vizio formale attinente allo svolgimento della riunione in modalità di videoconferenza. L’impugnazione viene fondata, oltre che sull'attribuzione di somme non dovute (perché afferenti a spese individuali), anche sulla mancata contabilizzazione di pagamenti afferenti a precedenti esercizi.

Richiamando Trib. Roma sentenza 11.1.2022, n. 259, l'applicazione dell’art. 4, comma 2, Dlgs. 28/2020 impone, una simmetria tra fatti narrati in sede di mediazione ed i fatti esposti in sede processuale, almeno per quelli principali; diversamente, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità, per mancato assolvimento della condizione prevista dal legislatore.

La predetta norma richiede che la domanda di mediazione indichi le "ragioni della pretesa", espressione che deve essere intesa nel senso della sufficienza dell’allegazione di una situazione di fatto latamente ingiusta per la quale si prospetti una futura, possibile azione di merito, non risultando necessario inquadrare giuridicamente il fatto, atteso che La Domanda di mediazione, diversamente da quanto previsto per l’atto di citazione e il ricorso, ex artt. 163 e 414 c.p.c., non deve contenere anche l'indicazione degli "elementi di diritto" della pretesa vantata.
Gli accadimenti narrati nella domanda di mediazione, affinché possa essere soddisfatta la condizione di procedibilità, devono essere corrispondenti, "simmetrici" a quelli che saranno poi esposti in fase processuale e nel caso di specie tale corrispondenza non è stata riscontrata. Una domanda processuale diversa, che esuli, anche solo in parte, da quella prospettata in sede di mediazione, va quindi considerata una domanda nuova rispetto a quella passata per il filtro della mediazione ed in grado di superare, almeno in astratto, il giudizio sula procedibilità.

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Ultimo aggiornamento Sabato, Ottobre 07 2023
  
06
Ottobre
2023

Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, 14.09.2023 n. 1200/2023;

Il Consiglio di Stato emana un parere sul Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco degli enti di formazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi;

Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, 14.09.2023 n. 1200/2023

Il consiglio di Stato ha emanato il parere sul “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco degli enti di formazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 e l’istituzione dell’elenco degli organismi ADR deputati a gestire le controversie nazionali e transfrontaliere, nonché il procedimento per l’iscrizione degli organismi ADR ai sensi dell’art. 141-decies del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 recante Codice del consumo, a norma dell’art. 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229” norma di rango secondario attuativa del D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 modificato dal d.lgs n. 149/2022 (cd. Riforma Cartabia).

Il parere ha ad oggetto i nuovi commi 1-bis e 1-ter dell’art. 16 che disciplinano i requisiti per l’iscrizione dell’Organismo di mediazione presso il Registro e l’elenco dei formatori per la mediazione e il nuovo art. 16-bis che disciplina gli enti di formazione.

Lo Schema è così organizzato:

  • capo I (articoli 1 e 2) disposizioni generali;
  • il capo II (articoli da 3 a 11) principi per la istituzione e organizzazione del registro degli organismi di mediazione, della sezione speciale del registro degli organismi ADR e dell’elenco degli enti di formazione per la mediazione;
  • capo III (articoli da 12 a 22) tenuta del registro e degli elenchi, procedure di iscrizione, e di approvazione delle variazioni, verifiche periodiche, obblighi degli iscritti e individuazione del soggetto cui compete il potere di vigilanza;
  • capo IV (articoli da 23 a 27) percorsi di formazione iniziale e continua per mediatori e formatori;
  • capo V (articoli da 28 a 34) indennità e spese di mediazione, tabelle delle spese di mediazione per gli organismi pubblici e criteri di redazione delle tabelle di tali spese ad opera degli organismi privati;
  • capo VI (articoli da 35 a 41) procedure per la sospensione e cancellazione degli iscritti;
  • capo VII (articoli da 42 a 50) disposizioni transitorie e finali e raccolta dei dati.

Il Consiglio di Stato muove alcune critiche al provvedimento e richiede al Ministero l’invio di documentazione supplementare. In generale, vengono segnalati refusi, difetti di coordinamento tra le diverse parti del provvedimento, ripetizioni, mancanza di termini entro cui effettuare gli adempimenti richiesti, invito a maggior chiarezza (ad esempio quando si menzionano i “sistemi che ne rendono possibile il download o (…) su supporto durevole e con qualsiasi altra modalità idonea ad assicurare la trasparenza, equità e libertà”).

Degno di nota è il rilievo mosso all’art. 5 comma 1, lett. c) dello schema nella misura in cui invita il Ministero a definire parametri di riferimento per tale attestazione, per conferire oggettività agli eventuali profili di inconciliabilità delle attività istituzionali col servizio di mediazione. Analoga osservazione viene formulata con riguardo all’articolo 11, comma 2, lettera b), con riferimento ai requisiti di serietà per l’iscrizione nell’elenco degli enti di formazione degli enti pubblici.

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Ultimo aggiornamento Venerdì, Ottobre 06 2023
  
06
Ottobre
2023

Il comportamento palesemente preconcetto e ostativo, che causi o protragga un processo, altrimenti evitabile, dev’essere sanzionato;

Tribunale di Roma, 26.03.2023, sentenza n. 11746, giudice Maria Grazia Berti;

SINTESI: In una controversia condominiale, una condòmina impugnava con atto di citazione una delibera assembleare con cui veniva deliberata l'approvazione delle nuove tabelle millesimali. L'attrice constatava la violazione sia dei criteri legali (art. 1123 c.c.) sia di quelli contenuti nel regolamento di condominio di natura contrattuale. Il Condominio si costituiva contestando le domande avversarie sostenendo che, conformemente ai principi giurisprudenziali, per l'approvazione delle nuove tabelle così come per la revisione delle stesse non occorreva l'unanimità dei consensi essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c., secondo comma.
La citazione era stata preceduta dal tentativo di mediazione obbligatorio, nella quale il Condominio nell'incontro preliminare dichiarava non sussistenti i presupposti per entrare in mediazione determinando il fallimento della stessa.
L’impugnazione viene ritenuta fondata e accolta  in quanto l'assemblea avrebbe dovuto approvare all'unanimità la corrispondente tabella essendo evidente che essa costituisce una chiara deroga al principio che vuole la partecipazione alle spese in proporzione al valore della proprietà di ciascuno dei condomini mentre l'esclusione di alcuni condomini comporta inevitabilmente un maggiore aggravio di spesa per al restante compagine condominiale.

In merito al tentativo di mediazione, la giudice osserva che nelle ipotesi in cui una o entrambe si rifiutino senza alcuna motivazione di entrare in mediazione, la mediazione si riduce in un adempimento solo formale e, per così dire, svuotato di contenuto, rendendo vano l’obbligo sancito dall’articolo 5 del Dlgs 28/2010 quale strumento alternativo per la risoluzione delle controversie. Perciò, sebbene sia pacifico che nessuno può essere costretto a conciliare né a mediare una lite, resta ferma la convinzione che il comportamento palesemente preconcetto ed ostativo, che causi o protragga un processo, altrimenti evitabile, dev’essere in qualche modo sanzionato.

L'introduzione del procedimento di mediazione ante causam dimostra la ferma volontà dell'attrice di evitare ogni forma di contenzioso che avrebbe dovuto indurre il condominio ad entrare in mediazione assumendo con ciò una condotta doverosa e conforme a tale scopo, mentre alcun “giustificato motivo impeditivo” avente i caratteri della “assolutezza” e della “non temporaneità” è stato manifestato dal condominio che, attraverso il suo amministratore, si è limitato a manifestare la volontà di non voler entrare in mediazione.

Il Condominio convenuto veniva condannato, ai sensi dell’articolo 116, 2 comma cpc, al versamento in favore dell’erario della somma pari ad euro 237,00, valutando il comportamento generalmente tenuto, non solo in sede di mediazione, ma anche in sede di liquidazione delle spese di soccombenza.

Ricordiamo che oggi, con l'entrata in vigore della legge di riforma della Giustizia (Dlgs 149/2022), il legislatore ha aumentato la sanzione al doppio del contributo unificato e previsto che il giudice possa condannare la parte soccombente, che non abbia partecipato alla mediazione, al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata, in una misura che non ecceda nel massimo le spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione.

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Ultimo aggiornamento Venerdì, Ottobre 06 2023
  
02
Ottobre
2023

Canna fumaria in appoggio al muro comune: è legale?

In quali casi il singolo condomino può far installare la propria canna fumaria esterna ancorandola alle pareti dell’edificio?

In condominio spesso si litiga per l’utilizzo delle cose comune. È il caso del condomino che occupa il pianerottolo con le proprie cose (bici, passeggino, ecc.) oppure che fa apporre la tabella del suo studio professionale sulla facciata dell’edificio. È in questo contesto che si pone il seguente quesito: è legale installare la canna fumaria in appoggio al muro comune? Mettiamo il caso che uno dei condòmini abbia comprato una stufa a pellet; per legge, i fumi prodotti da queste tipologie di stufe non possono essere convogliati in un’unica canna fumaria. Si rende pertanto necessaria realizzarne una e, essendo impossibile farla passare nelle pareti, occorre realizzarne una esterna lungo il perimetro delle mura. È legale una cosa del genere oppure l’assemblea può chiederne la rimozione? Vediamo cosa dice la legge. Secondo la legge, i muri maestri dell’edificio sono comuni, in quanto indispensabili per l’esistenza stessa del fabbricato. Per muri maestri si intendono sia quelli che costituiscono l’ossatura portante dell’edificio, sia quelli perimetrali che delimitano gli spazi in essi compresi, oltra ai muri di rivestimento o di riempimento.

Si può appoggiare la canna fumaria alla parete esterna?

In linea di massima, l’installazione di una canna fumaria esterna in appoggio al muro perimetrale comune è perfettamente legale, in quanto rientra tra i diritti di ciascun condominio di fare un utilizzo dei beni comuni più intenso rispetto a quello degli altri, purché a costoro non sia tolto il diritto di fare altrettanto. In pratica, la legge permette al singolo proprietario di servirsi delle cose e dei servizi comuni per soddisfare un proprio bisogno egoistico, purché però tale utilizzo: non alteri la destinazione d’uso del bene. Ad esempio, sarebbe illegittimo trasformare una porzione di giardino in parcheggio per poter mettere in sosta la propria auto; non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso. Non è quindi possibile, ad esempio, affiggere la tabella del proprio studio professionale in modo tale da occupare tutta la parete ove si trova il portone d’ingresso, precludendo così agli altri di fare lo stesso. Pertanto, la canna fumaria lungo il perimetro esterno delle mura dell’edificio è sicuramente legale, purché sia installata in modo tale da non danneggiare la cosa comune, nel rispetto delle distanze minime da balconi e finestre, e sempre che non impedisca agli altri di poter utilizzare il bene condominiale. Il mancato rispetto delle regole appena viste comporta la possibilità, per l’assemblea, di chiedere la rimozione dell’opera realizzata senza tener conto dei diritti degli altri condòmini. La giurisprudenza ha tuttavia specificato che per ottenere la rimozione occorre che emerga il potenziale uso che gli altri condòmini potrebbero fare in relazione agli spazi comuni occupati, al fine di verificare se l’uso più intenso operato dal singolo proprietario impedisca quello potenziale degli altri. In altre parole, chi chiede la rimozione dell’opera altrui deve dimostrare che la stessa leda concretamente il suo diritto di poter sfruttare il bene comune. Nel caso di specie, chi chiede la rimozione della canna fumaria appoggiata al muro perimetrale deve dimostrare che tale installazione gli impedisce di fare altrettanto, avendo anch’egli bisogno di realizzare la stessa opera. Al contrario, il condomino che è già munito di canna fumaria interna e che, quindi, non ha bisogno di una esterna, non può ottenere la rimozione del manufatto esterno del vicino se non dimostra che quest’ultimo gli impedisce l’utilizzo concreto del bene (cioè, del muro perimetrale). Secondo la Corte di Cassazione, quando sia prevedibile che gli altri compartecipi non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa da un condomino deve ritenersi legittima, atteso che il limite al godimento di un condomino si riscontra soltanto se sia ragionevole prevedere che altri comproprietari vogliano accrescere il pari uso cui hanno diritto. Sempre secondo la Suprema Corte, è consentito l’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale a condizione che non impedisca l’uso paritario delle parti comuni, non provochi pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza dell’edificio e non ne alteri il decoro architettonico.

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Ultimo aggiornamento Lunedì, Ottobre 02 2023
  
27
Settembre
2023

Responsabilità del notaio nella compravendita;

Quando acquistiamo o vendiamo una proprietà, il notaio svolge un ruolo centrale. Non è solo un pubblico ufficiale chiamato ad accertare l’identità delle parti e la validità delle rispettive firme. Egli deve compiere tutte quelle attività prodromiche e successive all’atto per garantire che il trasferimento dell’immobile vada a buon fine. Deve quindi verificare se il venditore è effettivamente titolare del bene e ha il diritto di alienarlo; deve accertare che non vi siano pesi e altri vincoli sul bene (ipoteche, pignoramenti, diritti reali altrui), deve procedere alla registrazione e alla trascrizione dell’atto pubblico. Alla luce di tutte queste incombenze è possibile comprendere quali sono le responsabilità del notaio nella compravendita. Come può proteggere le parti coinvolte? E cosa dice la legge quando le cose non vanno come previsto? In questo articolo, analizzeremo le funzioni e gli obblighi del notaio, con un particolare focus sulle recenti sentenze della Cassazione. La figura del notaio è fondamentale in ogni compravendita. Egli ha il dovere non solo di autenticare l’atto, ma anche di proteggere le parti, fornendo informazioni e consigli. Questo significa che non può basarsi solo sulle dichiarazioni del venditore e dell’acquirente, ma deve effettuare controlli, verifiche catastali e proprietarie, per garantire che la transazione sia regolare. Esempio: Mario dichiara di voler vendere la casa ad Antonio qualificandosi come proprietario. È tuttavia dovere del notaio verificare se effettivamente Mario è proprietario esclusivo dell’immobile sulla base delle risultanze dei pubblici registri immobiliari. Dovrà quindi verificare se la moglie di Mario è in comunione dei beni o se il bene è in comproprietà con altri soggetti. Il notaio non può limitarsi a recepire le volontà delle parti. Ma quali sono gli obblighi informativi e di consiglio del notaio? Oltre ai controlli catastali e ipotecari, il notaio ha il dovere di informare e consigliare le parti. Ciò significa che deve assicurarsi che queste comprendano tutti gli aspetti della transazione e che siano a conoscenza di eventuali problemi. Se omette queste informazioni, può essere ritenuto responsabile. Ad esempio quando l’atto può avere delle implicazioni negative per l’acquirente, è dovere del professionista informare quest’ultimo di tutti i rischi che si assume. Si pensi al caso della vendita di un immobile proveniente da una donazione, quando ancora non sono decorsi 20 anni dalla donazione stessa. Solo il decorso di tale termine infatti protegge l’acquirente dall’eventuale azione di restituzione che gli eredi del donante, eventualmente lesi dalla donazione, potrebbero intraprendere contro di lui. Un altro rischio potrebbe consistere nell’acquistare un immobile privo di agibilità o con un’ipoteca. Seppur è lecito vendere un immobile ipotecato, è bene che l’acquirente sappia che l’ipoteca segue il bene. Sicché, se il venditore non dovesse pagare il proprio debito, il creditore potrebbe sottoporre a pignoramento l’immobile. Altro rischio è quando il prezzo di vendita non viene corrisposto al momento del rogito o non vengono mostrati al notaio gli assegni o i bonifici: il notaio deve avvisare le parti del rischio che qualcuno, mancando l’effettivo trasferimento del denaro, potrebbe impugnare il trasferimento per simulazione. La sentenza della Cassazione n. 23718 del 3 agosto 2023 ha messo in luce un aspetto importante. Se il notaio non informa l’acquirente sull’esistenza di un’ipoteca o di un pignoramento gravante sull’immobile è personalmente responsabile e quindi tenuto a risarcire il danno all’acquirente. Nel caso di specie, un acquirente si era impegnato a pagare 7.000 euro per estinguere un’ipoteca, ma il valore effettivo dell’ipoteca era di 50.000 euro. Secondo la Cassazione, il notaio avrebbe dovuto informare l’acquirente di questa discrepanza. La Cassazione ha sottolineato che le semplici dichiarazioni delle parti non sono sufficienti per esonerare il notaio dai suoi obblighi. Ha l’obbligo di eseguire controlli per assicurare che il bene oggetto della compravendita sia libero da gravami o altre restrizioni. Il notaio non è un medico e quindi non può verificare se i soggetti che ha dinanzi sono nel pieno delle loro capacità mentali. Questo significa che, nonostante l’atto pubblico, è ben possibile impugnare una vendita fatta da un soggetto incapace di intendere e volere. Le parti, per accelerare i tempi e ridurre i costi della parcella notarile, possono esonerare il notaio dal compimento di tutte quelle attività preliminari – come le visure nei pubblici registri immobiliari – che questi altrimenti è tenuto a fare. In tal caso il notaio non sarà responsabile di eventuali pesi sull’immobile come ipoteche e pignoramenti in atto.

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Ultimo aggiornamento Mercoledì, Settembre 27 2023
  
13
Settembre
2023

La figura dell’amministratore di condominio in mediazione alla luce della riforma Cartabia: maggiore autonomia o crescenti responsabilità?

Con l’articolo 37 del D.L. 24 febbraio 2023, n. 13 il 30 giugno è entrato in vigore il nuovo articolo 5-ter del decreto legislativo 28/2010 che ben si colloca all’interno di quel riassetto sostanziale del processo civile in un’ottica di semplificazione, accelerazione e razionalizzazione. Tale intervento impatta, in termini di responsabilità e autonomia, sulla figura professionale dell’amministratore di condominio nell’ambito della legittimazione in mediazione.

1)    Le norme rilevanti e l'ambito di applicazione in materia di condominio.
In contemporanea all’introduzione del nuovo art. 5-ter del d.lgs. 28/2010, sono stati abrogati i commi 2, 4, 5 e 6 del vigente articolo 71-quater disp. att. c.c. di cui resta in vigore solo il comma 1, mentre il comma 3 è stato novellato per rinviare al citato articolo 5-ter d.lgs. 28/2010.
Queste ultime disposizioni ci permettono di individuare l’ambito di applicazione della normativa di nostro interesse.
Secondo l’art.71-quater, I co., disp. att. c.c., per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, I co., del d.l. 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice.
La norma definisce l’ambito di applicabilità della condizione di procedibilità in materia condominiale, chiarendo che l’obbligo di mediazione riguarda le cause:
a) tra il condominio e il singolo condomino;
b) quelle tra il condominio e l’amministratore;
c) tra il condominio e i terzi.
Esulano dal procedimento condominiale i giudizi tra singoli condomini.
Il terzo comma dello stesso articolo 71-quater precisa che al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore secondo quanto previsto dall’articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28: “L’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi. Il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa”.
Quest’ultima norma stabilisce perciò che l’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi.
La sua attività incontra il limite della delibera assembleare ai fini dell’approvazione del verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore che dovrà intervenire entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’articolo 1136 c.c..
In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa.

2)    Il nuovo ruolo dell’amministratore di condominio alla luce della riforma Cartabia in conformità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito.
L'amministratore di condominio è una figura cruciale nella gestione delle vicende condominiali e da oggi lo sarà ancora di più.
Gestire un condominio vuol dire saper dirimere una notevole quantità di problematiche, sia per la complessità dei rapporti tra i condomini stessi, che per la natura dei beni che lo compongono. Tali problemi possono essere risolti soltanto facendo ricorso a un approccio professionale, che non deve prescindere da alcune competenze tecniche specifiche.
La nuova formulazione dell’art. 5 ter d.lgs. 28/2010 evidenzia come la riforma della Giustizia abbia cambiato in modo considerevole il ruolo dell’amministratore di condominio, e come l’intento del legislatore sia stato quello di proiettarlo in un contesto nuovo, che lo vede protagonista e, al contempo, maggiormente responsabile del suo operato, sempre più autonomo in sede di mediazione civile e commerciale, ma con maggiore dovere di trasparenza e comunicazione nei confronti dei condomini.
Alla luce della normativa, come vedremo, l’amministratore non sarà più condizionato nella partecipazione al procedimento di mediazione dal previo ottenimento di una delibera autorizzativa, ma potrà attivare, aderire e partecipare alla mediazione essendovi legittimato ex lege.
Lo scopo è certamente quello di rendere ancora più celere, oltre che agevole, l’ausilio della mediazione quale strumento di composizione delle controversie alternativo rispetto al giudizio, soprattutto in termini di partecipazione al procedimento. Non è più necessario coinvolgere i condomini al fine di conferire all’amministratore il potere negoziale di rappresentare il condominio coinvolto nella controversia. 
Non vi è più neppure la preoccupazione di chiedere al mediatore di concedere proroghe dei termini del primo incontro, per garantire l’assunzione della delibera e la partecipazione titolata dell’amministratore. D’ora in poi, l’amministratore di condominio avrà la facoltà di agire in modo indipendente rispetto all’assemblea, la quale verrà consultata solo in merito alla decisione finale.
Il nuovo testo normativo, di fatto, recepisce e amplia un orientamento da anni avallato dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo il quale l’amministratore di condominio può nominare un avvocato del condominio anche senza una previa delibera di autorizzazione dell’Assemblea, derivando tale potere dal più generale dovere di tutelare il condominio contro le azioni intraprese da terzi (Cfr. ex multis, Cass. n. 1451/2014; Cass. n. 27292/2005; Corte d’Appello di Catanzaro sent. 28 luglio 2022 n. 914).

3) L’autonomia e limiti dell’amministratore alla luce dell’art. 5 ter del d.lgs. 28/2010.
Dall’esame della nuova norma si percepisce immediatamente la scelta del legislatore di minor coinvolgimento dell’assemblea condominiale. Ante riforma, l’intervento deliberativo assembleare si rendeva necessario in almeno due momenti: la partecipazione al procedimento di mediazione e l’approvazione della proposta di mediazione.
I condomini dovevano, quindi, essere coinvolti nel corso della procedura non solo a scopo informativo, ma soprattutto al fine di conferire all’amministratore il potere negoziale di rappresentare il condominio coinvolto nella controversia.
Una delle maggiori problematiche derivanti da questa impostazione si poneva, in particolare, con riguardo ai tempi necessari per convocare validamente un’assemblea condominiale compatibilmente coi termini di 30 giorni stabiliti per la fissazione del primo incontro dalla data del deposito della domanda, a cui rimediava parzialmente la previsione normativa dell’art. 71-quater, co. 4, disp. att. c. c. permettendo il rinvio su specifica istanza del condominio.
Con il nuovo procedimento di mediazione in materia assistiamo ad una rivoluzione nel ruolo dell’amministratore che può individuarsi in:
• ampliamento delle competenze e facilitazione della procedura di mediazione:  è in grado di agire in modo più autonomo, riducendo l’interferenza dell’assemblea nella mediazione, permettendo così un processo più snello ed efficace: “l’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi”, la possibilità di avviare la procedura di mediazione, anche senza l’approvazione preliminare dell’assemblea permetterà di attivarsi nell’immediato, trattare, valutare e/o formulare proposte senza dover ricorrere, come avveniva in passato, alla richiesta di differimento del primo incontro al fine di convocare l’assemblea che lo legittimi alla partecipazione.
• Autonomia nella scelta del mediatore e del legale: l’ampliamento dei “poteri” riconosciuti in capo all’amministratore e la sua legittimazione ex lege in materia di mediazione trova riscontro in una serie di azioni indirette collegate, inevitabilmente, allo svolgimento del procedimento. Fondamentale appare la scelta del legale così come quella dell’organismo di mediazione a cui rivolgersi (in caso di attivazione) nonché del mediatore, scelta autonoma compiuta con l’unico obiettivo di trovare professionisti con la competenza e l’esperienza specifiche per gestire al meglio la controversia.
Avviato il procedimento, qualora le parti raggiungano un accordo o sia stata formulata una proposta conciliativa da parte del mediatore, l’amministratore trova il suo primo limite, per la verità già consolidato dell’orientamento della Cassazione secondo la quale  in ogni condominio "l'organo principale depositario del potere decisionale è l'assemblea dei condomini", mentre all'amministratore è garantita come "prima e fondamentale competenza" quella di "eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini". Ed è in questa visione che si inserisce.
•     Il ruolo decisivo dell’assemblea condominiale per la decisione finale: l’assemblea di condominio rimane comunque l’organismo decisivo per l’accettazione o il rifiuto dell’accordo raggiunto tramite la mediazione: Il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale”.
L’assemblea, a sua volta, è sottoposta a precise limitazioni:
A) la delibera dovrà avvenire nel rispetto del termine indicato nell’accordo raggiunto o nella proposta conciliativa: ... (l’assemblea condominiale) delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta…. Le parti o il mediatore, dunque, nella redazione dell’accordo o della proposta dovranno prevedere il termine entro il quale l’assemblea dovrà deliberare.
B) il rispetto delle maggioranze previste dall’art. 1136 c.c. ...la delibera dovrà avvenire con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile.
Disposizione quest’ultima ambigua che pone non poche incertezze, considerato che la vecchia formulazione precisava che per l’approvazione della proposta di mediazione era richiesta la maggioranza di cui all’articolo 1136 c.c., II co. (e cioè la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio). 
E’ parere di chi scrive che, non senza incertezze, bisognerebbe continuare ad approvare l’accordo con la stessa maggioranza.
C) Le due condizioni, se non rispettate, inficiano la conciliazione, che infatti dovrà intendersi come non conclusa: “in caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa”.

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Ultimo aggiornamento Mercoledì, Settembre 13 2023
  

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