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OMCI - Organismo di Mediazione

Omci - Organismo di Mediazione e Conciliazione Italia

27
Luglio
2023

La mediazione in materia di responsabilità medica;

La mediazione in materia di responsabilità sanitaria: da mera condizione di procedibilità a prezioso strumento per la risoluzione delle controversie.

Se prima della riforma Cartabia il procedimento di mediazione appariva meno efficace rispetto alla procedura di accertamento tecnico preventivo, ora la mediazione diviene lo strumento non solo più efficace ma anche più conveniente.
Infatti la mediazione, ed in particolare la C.T.M. (consulenza tecnica in mediazione) è stata implementata con la previsione di cui all’art. 8, 7 comma, secondo cui:
Il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti. Al momento della nomina dell’esperto, le parti possono convenire la producibilità in giudizio della sua relazione, anche in deroga all’articolo 9. In tal caso, la relazione è valutata ai sensi dell’articolo 116, comma primo, del codice di procedura civile”.
La possibilità di esperire una C.T.M. infatti consente alle parti di risolvere le questioni tecniche della vertenza avvalendosi di professionisti iscritti negli albi dei consulenti presso il tribunale, e pertanto con comprovata esperienza ed affidabilità, che possono determinare l’eventuale responsabilità del medico e/o della struttura sanitaria. 
La grande novità è rappresentata dal fatto che la perizia può essere acquisita nel giudizio su concorde volontà delle parti in deroga al principio di riservatezza previsto dagli artt. 9 e 10 del D.lgs 28/2010. 
La consulenza tecnica in mediazione è ammessa purché abbia determinati requisiti minimi essenziali:
1. il perito deve essere scelto tra quelli iscritti negli albi dei tribunali. 
2. la consulenza deve essere redatta in contraddittorio tra le parti.
Viene consentito alle parti di introdurre una C.T.M. di derivazione stragiudiziale all’interno del giudizio ed essa viene valutata dal Giudice ai sensi dell’art. 116, 1 comma c.p.c. divenendo così un elemento di prova atipica che viene introdotto nel giudizio di cognizione piena: la consulenza può assurgere a mezzo probatorio a tutti gli effetti e su di esso l’Organo Giudicante può addirittura basare la propria decisione. Viene così recepito un orientamento che alcuni tribunali di merito avevano già espresso anche ante riforma (Tribunale di Ravenna sentenza n. 154 del 2022 - Tribunale di Roma sentenza n. 1094 del 2022, - Tribunale di Ascoli Piceno sentenza n. 14 del 2019) facendo leva anche sul contemperamento fra l’esigenza di riservatezza e quella di economicità ed utilità delle attività in mediazione che possono trovare sede anche nel processo di cognizione ordinario.
L’elemento interessante è che sono le parti, non il giudice, a determinare le regole ed i tecnici da coinvolgere nella risoluzione della controversia e la possibilità di portare l’esito di tale procedimento in sede giudiziale. La mediazione coinvolge anche le parti offrendo loro la possibilità di avere un ruolo centrale, di perseguire i propri interessi e di essere attivi nel percorso che porta alla risoluzione della vertenza.
I vantaggi del procedimento di mediazione in ordine ai casi di responsabilità medica.
Non solo, ci sono anche ulteriori aspetti vantaggiosi connessi al procedimento di mediazione in materia di responsabilità medica ed in particolare: 
·garanzia di riservatezza e confidenzialità (artt. 9,10 e 14 D.lgs. n. 28/2010), in termini anche di salvaguardia della riservatezza, sia per il medico che per la struttura per la pendenza di una controversia; 
· possibilità di prevenire un giudizio;
· minori costi rispetto all’A.T.P. con funzione conciliativa dove le spese, anche del consulente tecnico d’ufficio, devono essere anticipate interamente dal paziente danneggiato;
· efficacia dell’accordo sottoscritto dagli avvocati delle parti al pari di una sentenza con le conseguenti potenzialità esecutive dell’accordo ottenibili anche attraverso la sottoscrizione da parte degli avvocati “ove presenti” (art. 12 D.lgs. 28/2010);
· incentivi di carattere fiscale del procedimento di mediazione (artt. 17 e 20 D.lgs. 28/2010).
Un ulteriore incentivo alla mediazione è rappresentato anche dall’art. 12 bis del D.lgs. 28/2010; esso porterà le strutture sanitarie e dei medici ad aderire alla mediazione per non incorrere nelle conseguenze di cui all’art. 12 bis. D.lgs. 28/2010 oppure, se decideranno di non partecipare alla mediazione, dovranno addurre “giustificati motivi”. 
E’ molto probabile che in tutte le mediazioni le strutture sanitarie e/o i medici aderiranno per poi confrontarsi in mediazione; seppur non sarà scontato l’esito positivo della mediazione, sicuramente sarà un momento di ulteriore confronto tra le parti ed, in molti casi. le parti avranno la possibilità di giungere ad un accordo, evitando il giudizio avanti al Tribunale.
Infine mi preme segnalare che il Ministro della Giustizia ha istituito una Commissione per limitare e ridurre le cause giudiziarie contro i sanitari che hanno portato al diffondersi della c.d. medicina difensiva, ossia della tendenza a prescrivere più esami e visite del dovuto da parte dei medici al fine di evitare qualsivoglia responsabilità.
Penso che l’iniziativa ministeriale sia lodevole e che anche la mediazione, così come riformata, possa aiutare a diminuire il contenzioso giudiziale ed a recuperare quel rapporto di fiducia medico paziente che si è perso nel tempo, ridando da un lato la serenità al medico per lavorare responsabilmente e dall’altro lato la fiducia al paziente che il medico farà tutto il possibile per guarirlo. Oggi, alla luce della riforma Cartabia, la procedura di mediazione assume un ruolo importantissimo in una materia delicata e complessa come quella della responsabilità medica e consente al paziente, al medico ed alla struttura sanitaria, (pubblica o privata che sia) di salvaguardare due aspetti fondamentali della vita di ciascuno di noi e della nostra società come la professionalità del medico e la salvaguardia della salute del paziente. La mediazione non è più una mera condizione di procedibilità, ma diviene lo strumento che consente alle parti coinvolte di trovare una soluzione al loro problema, contenendo i tempi ed i costi e salvaguardando gli interessi di tutti!

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Ultimo aggiornamento Giovedì, Luglio 27 2023
  
27
Luglio
2023

L’ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso;

Tribunale di Termini Imerese, 7.4.2023, sentenza n. 412, giudice D’Urso

SINTESI: In una controversia di locazione avente ad oggetto l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo per canoni di locazione, il giudice concedeva la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto e onerava parte opposta (il locatore) all'introduzione del procedimento di mediazione che, una volta instaurato, si concludeva con verbale negativo in ragione della mancata comparizione personale del conduttore. Non essendosi presentato senza giustificato motivo, benché ritualmente convocato dall'Organismo prescelto, l'esperimento è stato di conseguenza chiuso senza poter entrare nel merito delle diverse posizioni delle parti.
La giudice ha stabilito  - riferendosi a sentenza Tribunale di Roma 23.02.2017 e ordinanza Tribunale di Palermo 29.07.2015 - che l’ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso, in quanto idoneo a determinare l'introduzione di una procedura giudiziale – evitabile - in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi, tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al doppio del contributo unificato dovuto per li giudizio.
Pertanto, la radicale evidente assenza di un giustificato motivo della mancata partecipazione del conduttore al procedimento di mediazione, in forza del combinato disposto degli art. 8 co VI bis del d.Igs. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorre a ritenere raggiunta la piena prova della infondatezza della sua resistenza ad oltranza e legittima l’interesse dell'attore ad ottenere quanto richiesto in atto di citazione (il pagamento dei canoni di locazione)
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Ultimo aggiornamento Giovedì, Luglio 27 2023
  
25
Luglio
2023

L’art. 5, terzo comma, d.lgs 28/2010 vieta al giudice il prosieguo del giudizio in pendenza dei termini concessi per l'espletamento della procedura di mediazione, fino all'udienza di verifica dell'avveramento della condizione di procedibilità;

Corte di cassazione, sez. 2 civ., 24.7.2023, sentenza n. 22038;

SINTESI: In una controversia in tema di affitto di un fondo, il ricorrente aveva impugnato la sentenza di primo grado  avanti la Corte d’appello di Cagliari  lamentando il diniego della richiesta di rimessione in termini per il deposito delle memorie ex articolo 183, comma sesto, cpc.  La Corte d’appello aveva rigettato il motivo di gravame sostenendo che lo stesso difensore di parte attrice aveva richiesto la concessione dei termini implicitamente rinunciando all’eccezione relativa alla mancata sospensione di ogni attività processuale in pendenza di mediazione obbligatoria. La Corte cagliaritana aveva ritenuto assente il presupposto dell’art. 153 cpc in quanto la difesa dell’attrice non aveva addotto una causa a lei non imputabile a giustificazione dell’omesso deposito delle memorie da lei stessa richieste. Avverso tale decisione la parte soccombente aveva proposto ricorso per cassazione deducendo con l’unico motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.lgs. 28/2010.
Il motivo è ritenuto fondato.
Nel caso di specie il deposito di memorie istruttorie era stato autorizzato prima del verificarsi della condizione di procedibilità accertata come omessa dallo stesso giudice su eccezione di parte.
Le uniche attività che si possono compiere nelle more dello svolgimento della mediazione sono la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari e la trascrizione del la domanda giudiziale. Tutti gli altri provvedimenti sono esclusi. L’art. 5, terzo comma, d.lgs. 28/2010 è una norma di stretta interpretazione che introduce una parziale attenuazione del regime di improcedibilità giustificata da esigenze di celerità processuale.
La Corte di cassazione ha ritenuto che la Corte d’appello abbia errato nell’applicare al caso di specie il principio della sanatoria della nullità ex art. 157, terzo comma, cpc e della rimessione in termini.
La Corte di cassazione, in virtù della finalità deflattiva della mediazione, ha stabilito che quando la mediazione è obbligatoria e il suo corretto espletamento costituisce condizione di procedibilità dell'azione civile, finché pende la stessa è preclusa qualsiasi attività processuale, ad eccezione degli eventuali provvedimenti cautelari e urgenti. Il giudice non può quindi - anche se richiesto dalla parte - assegnare un termine per depositare le memorie difensive. In pendenza del tentativo di mediazione, ogni attività processuale avrebbe dovuto essere sospesa. La condizione di procedibilità della domanda sospende per sua natura tutti i termini processuali e obbliga ad attenderne l'esito.
Il principio di diritto cui dovrà attenersi il giudice del rinvio: "L'articolo 5, comma 3, del Dlgs 28/2010, dispone che lo svolgimento della mediazione da un lato non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti cautelari e urgenti, ma dall'altro vieta al giudice il prosieguo del giudizio in pendenza dei termini concessi per l'espletamento della procedura di mediazione, fino all'udienza di verifica dell'avveramento della condizione di procedibilità ".

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Ultimo aggiornamento Martedì, Luglio 25 2023
  
24
Luglio
2023

Atto di intimazione di sfratto: quando è legale?

Cosa deve contenere il documento che chiede all’inquilino di lasciare libero l’immobile per morosità. Come deve essere notificato.

La procedura dello sfratto si applica all’affitto di immobili ad uso abitativo o commerciale quando il proprietario intende rientrare in possesso del bene a causa del mancato pagamento del canone da parte dell’inquilino. Uno dei passaggi fondamentali di questa procedura è l’invio dell’atto di intimazione di sfratto: quando è legale e quando, invece, può essere contestato dal destinatario? Come in ogni documento ufficiale che si rispetti, forma e contenuto sono essenziali anche nell’atto di intimazione, che deve riportare determinate cose ed essere inviato entro un certo termine. Vediamo come funziona. Per poter dare il via libera alla procedura di sfratto, è necessario che si diano alcuni presupposti legati al contratto di affitto all’inosservanza dell’inquilino dei propri doveri. Due, in particolare, i requisiti:

  • che sia stato stipulato e registrato un contratto di locazione;
  • che l’inquilino non abbia pagato il canone dovuto.

La procedura, invece, non può essere applicata:

  • ai casi che rientrano nel processo ordinario o solo in quello locatizio, come ad esempio l’usufrutto, il comodato, l‘affitto di azienda, l’occupazione abusiva, ecc.;
  • alle controversie che riguardano i contratti agrari, come può essere l’affitto di un fondo rustico, di competenza esclusiva di sezioni specializzate e normalmente disciplinate dalle regole del rito del lavoro.

Lo sfratto può scattare anche quando si conclude il contratto d’opera che consentiva il godimento dell’immobile in cambio di una prestazione, come nel caso del custode dell’edificio.

Quando risulta moroso l’inquilino?

Può bastare anche una scadenza non rispettata per diventare un inquilino moroso e vedersi arrivare un atto di intimazione di sfratto. Questo atto può partire:

  • per gli affitti ad uso abitativo, anche solo dopo un canone non pagato, decorsi 20 giorni dalla scadenza;
  • per gli affitti ad uso commerciale, quando i mancati pagamenti hanno un’importanze rilevante, avuto riguardo all’interesse del proprietario: la valutazione è effettuata di volta in volta dal giudice secondo i principi di buona fede contrattuale.

Se c’è una diminuzione nel godimento dell’immobile locato, l’inquilino non può rifiutarsi di versare il canone o ridurlo unilateralmente: solo quando il bene diventa completamente inutilizzabile può sospendere in modo totale o parziale il pagamento del canone senza poter essere accusato di morosità.

L‘inquilino è moroso anche quando il suo inadempimento riguarda gli oneri accessori (ad esempio, le spese condominiali o di ordinaria amministrazione a suo carico). In questo caso, però, per intimare lo sfratto, l’ammontare dell’inadempimento deve avere una certa rilevanza, a seconda del tipo di locazione, cioè:

  • in quelle a uso abitativo, deve essere superiore a due mensilità di canone;
  • in quelle a uso commerciale deve avere un’importanza tale da rompere l’equilibrio contrattuale.

Cosa deve contenere l’atto di intimazione di sfratto?

  • Il proprietario dell’immobile avvia il procedimento notificando all’inquilino un atto di intimazione e citazione con cui chi chiede formalmente di lasciare liberi i locali oggetto dell’affitto e lo cita contestualmente in giudizio per una certa data. Affinché sia legale, l’atto d’intimazione di sfratto deve obbligatoriamente contenere: l’indicazione del tribunale competente, cioè del tribunale del luogo in cui si trova l’immobile affittato. La competenza è inderogabile e il suo difetto è dunque rilevabile d’ufficio dal giudice;
  • le indicazioni relative alle parti (locatore intimante e conduttore intimato);
  • l’indicazione della propria residenza o elezione di domicilio da parte del locatore nel Comune in cui ha sede il giudice;
  • l’indicazione del difensore, che specifica il suo codice fiscale e il numero di fax e della procura (salvo che la parte stia in giudizio personalmente);
  • la determinazione dell’immobile oggetto della domanda;
  • i motivi della domanda con le relative conclusioni e, in particolare, la misura del canone pattuito e delle mensilità per cui si è reso moroso l’inquilino, oppure l’importo degli oneri accessori scaduti e non pagati;
  • l’intimazione al conduttore di rilasciare l’immobile per inadempimento al pagamento dei canoni alle scadenze pattuite o degli oneri accessori;
  • se il canone consiste in derrate, il locatore deve dichiarare la somma che è disposto ad accettare in sostituzione;
  • la citazione del conduttore a comparire davanti al tribunale per un’udienza e fissazione della data di tale udienza non prima di 20 giorni dalla notifica, per permettere all’inquilino di rispettare il termine a comparire;
  • l’invito al conduttore a comparire all’udienza indicata e avvertimento che, se non compare o se, pur comparendo, non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto;
  • la sottoscrizione del difensore o della parte che sta in giudizio personalmente.

A ciò è possibile aggiungere, in via facoltativa:

  • l’istanza di abbreviazione, fino alla metà, dei termini di comparizione nei casi di particolare urgenza (ad esempio, in caso di perdurante morosità) precisati nella richiesta stessa;
  • la richiesta al giudice di emettere, oltre alla convalida, un decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni scaduti e da scadere fino all’esecuzione dello sfratto e per le spese di intimazione;
  • la dichiarazione del valore della causa, ai fini del pagamento del contributo unificato.

L’atto di intimazione deve essere comunicato all’inquilino a mani proprie da parte del proprietario, presso la residenza, la dimora o il domicilio del conduttore. È espressamente esclusa la notifica al domicilio eletto dal conduttore, vale a dire presso una precisa persona o ufficio che egli può aver indicato nel contratto di locazione. Nello sfratto per morosità è esclusa anche ogni altra modalità di notifica come quella effettuata mediante deposito di copia dell’atto nel Comune dell’ultima residenza o in quella del luogo di nascita del destinatario per le persone aventi residenza, dimora o domicilio sconosciuti.

Se la notifica non è eseguita a mani proprie del conduttore, l’ufficiale giudiziario deve spedire al conduttore una raccomandata di avviso dell’avvenuta notificazione, allegando all’originale dell’atto la ricevuta di spedizione. La prova dell’avvenuta regolare notifica è data dalla relata di notifica apposta in calce all’originale dell’intimazione e dall’avviso di ricevimento.

La notifica a mezzo Pec è assimilabile alla notificazione a mani proprie poiché produce effetti equivalenti.

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Ultimo aggiornamento Lunedì, Luglio 24 2023
  
20
Luglio
2023

Veranda sul balcone: serve il permesso di costruire se crea nuovo volume;

Per il Consiglio di Stato con l’aumento della volumetria si concretizza un ampliamento dell’abitazione principale (sentenza n. 6301/2023 del 28/06/2023);

La costruzione di verande negli edifici condominiali è una prassi largamente diffusa. Infatti, il proprietario trae utilità non solo in termini di spazio, ottimizzando una parte del proprio immobile, ma anche in termini di comfort durante la stagione invernale. Ma a fronte di tale utilità occorre precisare che in capo al proprietario incombono specifici obblighi. Infatti, dal punto di vista urbanistico, le problematiche sono severe e restrittive, atteso che la trasformazione del balcone in veranda è considerata un’opera capace di influire sulla cubatura e sulla superficie utile e, quindi, idonea ad incidere sui parametri edilizi.

La realizzazione di una veranda comporta:

  • la realizzazione di un nuovo volume determinando un aumento della superficie utile;
  • una modifica della sagoma del fabbricato;
  • un cambio di destinazione d’uso;
  • eventualmente una compromissione della statica del fabbricato.

Per tali ragioni chiudere un balcone privato con una veranda è attività delicata che va sempre pianificata con l’ausilio di tecnici specializzati. Si tratta, dunque, di un fenomeno estremamente complesso, con implicazioni rilevanti sia dal puto di vista strettamente edilizio, in relazione alla trasformazione permanente del territorio conseguente all’installazione di tale manufatto, sia da quello afferente alla tutela del bene comune costituito, secondo una lettura estensiva (ormai pacificamente ammessa) dell’articolo 1117 del codice civile, dal decoro architettonico, che ben potrebbe essersene compromesso in maniera sostanziale, con conseguente assoggettabilità al regime repressivo, di maggior tutela, di cui al quarto comma, dell’articolo 1120 del codice civile.

L’inquadramento del manufatto

In base all’allegato A (contente 42 voci/definizioni standard) del Regolamento Edilizio Tipo (R.E.T.) - la veranda è espressamente definita come: “locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili.”

La giurisprudenza di settore non è concorde nell’individuazione della categoria nella quale inquadrare la veranda. Infatti, ad una prima corrente minoritaria che riconduce tale manufatto nell’ambito degli “interventi di ristrutturazione edilizia” (T.A.R. Molise, Sez. I, 01.06.2011, n. 310), se ne contrappone una più rigorosa ed invero maggiormente consolidata, che, al contrario, considera l’installazione della veranda in commento come “nuova costruzione” ) Corte di Cassazione, Sentenza del 20.7.2011, n. 28927; T.A.R. Lazio, Sez. I, 24.01.2008, n. 562). Proprio in ragione delle conseguenze legate alla realizzazione della veranda (modifica dei parametri edilizi, aumento della superficie utile, modifica della sagoma del fabbricato), la stessa deve essere autorizzata con un titolo abilitativo dei lavori.

Il caso in esame

Il caso giunto all’esame del Consiglio di Stato (sentenza n. 6301 del 28 giugno 2023), affronta proprio la fattispecie dell’aumento della superficie utile. Il proprietario, infatti, realizzava un ampliamento della propria abitazione, mediante installazione di una veranda in legno lamellare e vetri, provvedendo anche alla demolizione e ricostruzione della pavimentazione del terrazzo di copertura, alla modifica delle pareti divisorie interne e delle aperture, oltre al rifacimento dento degli impianti tecnologici. Tutti gli interventi venivano, però, considerati abusivi dal Comune, che ordinava la demolizione e ripristino dei luoghi. Il proprietario impugnava l’ordinanza innanzi al TAR che, però, confermava l’ordinanza di demolizione, seppur limitatamente alla veranda. Il proprietario impugna la sentenza innanzi al Consiglio di Stato, sostenendo che la veranda sarebbe una mera pertinenza, ma il Consiglio di Stato conferma la sentenza del TAR.

Le motivazioni del Consiglio di Stato

I Giudici, nel motivare le loro decisioni, ricordano che ai fini urbanistici ed edilizi, il concetto di pertinenza, si fonda sulla assenza di:

a) autonoma destinazione del manufatto pertinenziale;
b) incidenza sul carico urbanistico;
c) modifica all’assetto del territorio ( C. Stato, 11/6/2013, n. 3221).

Nel caso di specie, invece, è stato accertato che la veranda costruita (per un totale di 76 mq. x m. 2,50 h) ha prodotto un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale, ed ha una sicura incidenza sul carico urbanistico, nel senso che si concretizza in un “ampliamento dell’abitazione”. Quindi, trattandosi sostanzialmente di una nuova volumetria, la realizzazione della veranda in esame va ricondotta nell’ambito della ristrutturazione edilizia, per la quale era necessario munirsi del permesso di costruire. È corretta pertanto la sanzione della demolizione irrogata dal Comune (cfr. in tal senso anche C. Stato, 31/07/2019, n. 5404). In merito al regime pertinenziale si precisa che non è sufficiente per includere la tipica veranda perché il rapporto di pertinenzialità nasce con un nuovo locale, dotato di autonoma connotazione e utilizzazione. In termini urbanistici, la veranda realizzata trasformando e chiudendo un balcone o terrazzo non può costituire pertinenza in quanto si tratta di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, che si viene ad aggregare ad un preesistente organismo edilizio, trasformandolo solo in termini di sagoma, volume e superficie. Lo stesso Consiglio di Stato ha avuto modo di ricordare che in ambito edilizio manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dall’edificio precedente/principale, ovvero quando sia realizzata una qualsiasi opera che ne alteri la sagoma, come ad esempio una tettoia (Cons. di Stato, 10/11/2017 n. 51280). Per tali motivi, la realizzazione di tale manufatto, richiede il permesso di costruire. L’abuso, secondo il Consiglio di Stato, va dunque punito con il ripristino dei luoghi, la realizzazione della veranda “integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie”.

L’orientamento consolidato

Per la natura del caso analizzato, non possiamo esimerci dall’evidenziare come il principio cardine espresso dall’ultimo arresto giurisprudenziale, sia solo l’ultimo in termini cronologici. Per motivi di sinteticità si riportano solo alcuni recenti pronunciamenti facenti tutti parte di una lunga e costante elaborazione giurisprudenziale. Recentemente, lo stesso Consiglio di Stato, aveva stabilito che “le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire in quanto queste comportano la chiusura di una parte del balcone con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto. Pertanto, va escluso che la trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda costituisca una pertinenza in senso urbanistico” (Consiglio di Stato, 24.01.2022, n. 469).  Un anno prima lo stesso ente giudicano aveva precisato che “la realizzazione di una veranda con chiusura di un balcone comporta la costituzione di un nuovo volume, che va a modificare la sagoma di ingombro dell’edificio e richiede il rilascio del permesso di costruire” (Consiglio di Stato sez. II, 10.12.2021, n. 8227). Infine, “la realizzazione di una veranda necessita del rilascio di un permesso di costruire, trattandosi di opera non precaria perché stabilmente infissa al suolo e tale da determinare, sotto il profilo edilizio, un aumento di volumetria, oltre che di superficie e sagoma; cosicché del tutto legittima si rivela l’ordinanza di demolizione dell’opera eseguita in assenza del prescritto titolo edilizio, non essendo configurabile il più mite trattamento della sanzione pecuniaria di cui all’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001, previsto per la sola ipotesi di interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA” ( T.A.R. Campania, 12.06.2019, n. 981).

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Ultimo aggiornamento Giovedì, Luglio 20 2023
  
18
Luglio
2023

Cosa succede dopo la mediazione;

La mediazione può concludersi con un accordo o senza, l’esito condiziona ciò che accade dopo la conclusione della procedura;

La mediazione civile e commerciale

La procedura di mediazione civile e commerciale disciplinata dal decreto legislativo n. 28/2010 s.m.i. è obbligatoria nei casi specifici previsti dalla legge. L’articolo 5 comma 1 del decreto citato elenca per questo le diverse materie che prevedono l’attivazione obbligatoria della mediazione prima del giudizio, in quanto condizione di procedibilità della domanda giudiziale.  In caso quindi di mancata attivazione della procedura di mediazione in una delle materie in cui è obbligatoria, la domanda avanzata in giudizio verrà respinta.  Al di fuori di queste ipotesi le parti sono libere di risolvere le loro controversie in mediazione, anche perché questa procedura stragiudiziale presenta numerosi vantaggi rispetto al giudizio. Essa è assai più rapida, economica e snella rispetto al processo civile. Lo scopo primario di questa procedura è infatti quello di arrivare in tempi brevi a un accordo tra le parti, grazie all’intervento del mediatore, soggetto terzo e imparziale rispetto ai soggetti in lite.

Possibili esiti della mediazione

Il raggiungimento dell’accordo non è tuttavia un esito così scontato. La presenza di un buon mediatore è senza dubbio fondamentale, ma la mediazione presuppone, prima di tutto, la volontà delle parti di accettare qualche compromesso per portare a casa un risultato soddisfacente per entrambe. Solo in presenza di questi presupposti l’esito della mediazione sarà positivo. La stessa si concluderà quindi con un accordo, che il mediatore allegherà al processo verbale. L’alternativa è rappresentata dal mancato raggiungimento dell’accordo di mediazione con conseguente verbalizzazione dell’esito negativo della procedura. Conclusione che può verificarsi anche al termine del primo incontro e che deve essere verbalizzata dal mediatore. La mediazione quindi, avviata depositando la relativa domanda anche presso una delle sedi di OMCI, può concludersi in modo positivo o negativo.

Un aspetto questo molto importante della procedura perché dall’esito della stessa scaturiscono, per legge, diverse conseguenze ed effetti.

Cosa accade se le parti raggiungono un accordo in mediazione

Quando le parti concludono un accordo in mediazione questo costituisce un titolo esecutivo quando viene sottoscritto anche dagli avvocati che hanno assistito le parti o omologato con decreto dal Presidente del tribunale competente.

Questo documento assume cioè la stessa forza di una sentenza, e se una delle parti dell’accordo non dovesse adempiere gli obblighi assunti nell’accordo, l’altra parte ha la possibilità avviare nei suoi confronti l’esecuzione forzata, senza ulteriori formalità.

Cosa succede se l’esito della mediazione è negativo

In caso contrario, ossia in assenza di un accordo, la parte che ha preso l’iniziativa della mediazione può sempre ricorrere in giudizio per far valere le sue ragioni. La legge però prevede conseguenze specifiche se la causa del fallimento della mediazione è rappresentati dal rifiuto di una delle parti della proposta di conciliazione del mediatore. Nello specifico, se la sentenza che conclude il successivo giudizio dovesse corrispondere alla proposta del mediatore e chi ha vinto la causa è proprio il soggetto che l’ha rifiutata senza un giustificato motivo, costui non potrà ottenere la condanna della controparte al pagamento delle spese del processo.

Non solo, il giudice lo condannerà anche a rimborsare le spese sostenute dalla parte avversa relative allo stesso periodo e a pagare allo Stato un importo pari al contributo unificato.

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Ultimo aggiornamento Martedì, Luglio 18 2023
  
17
Luglio
2023

L’avviso lasciato nella cassetta delle lettere di un condominio, è valido?

La sentenza del Tribunale di Cassino n. 716/2023 ha chiarito che l’avviso di convocazione lasciato nella cassetta delle lettere non è una modalità valida di convocazione. Questo perché tale modalità non consente di avere la certezza che i condomini abbiano ricevuto effettivamente l’avviso e non rispetta le modalità previste dalla legge. Inoltre, la norma che regola le convocazioni assembleari ha natura obbligatoria e non può essere modificata dalla volontà delle parti. Per dare validità all’avviso immesso nella cassetta delle lettere bisognerebbe che lo stesso venga controfirmato per avvenuto ricevimento dal destinatario e poi restituito all’amministratore. Nel caso in cui una convocazione venga contestata per motivi di forma o per mancata comunicazione, l’amministratore può convocare una nuova delibera che annulli la precedente e – questa volta senza vizi di forma – provveda a deliberare sulle stesse questioni poste al precedente ordine del giorno. La nuova delibera si sostituirà alla vecchia e quest’ultima non avrà più effetti. Sicché il condominio eviterà anche eventuali contenziosi. Tuttavia, è consigliabile che il condominio revochi rapidamente la deliberazione contestata e adotti una nuova decisione rispettando la procedura prevista dal Codice civile prima che venga avviata la casa in tribunale. Diversamente infatti il giudice, può dovendo chiudere il giudizio per “cessata materia del contendere” potrebbe comunque condannare il condominio al pagamento delle spese processuali per aver dato causa alla contestazione. Questo può limitare i danni e consentire al condominio di procedere correttamente. L’assemblea può decidere l’invio degli avvisi nella cassetta delle lettere?

Certamente una delibera assembleare “a maggioranza” non può imporre a tutti i condomini di ricevere le convocazioni con avvisi immesso nella cassetta delle lettere vincolando così anche i dissenzienti o gli assenti. Ma non è da escludere che il verbale possa vincolare chi invece accetta tale modalità. Sul punto, il Tribunale Tivoli (sentenza 5 aprile 2022) ha detto che la convocazione a mezzo email non è prevista, ma non è vietata, e può essere ritenuta idonea «nel caso in cui sia stato lo stesso condomino ad esprimere la volontà di ricevere le convocazioni assembleari a mezzo e-mail ordinarie, sottoponendosi dunque volontariamente al rischio della mancata ricezione» (nello stesso senso, sempre con riferimento alla posta elettronica ordinaria, anche Appello Brescia 3 gennaio 2019, numero 4). La sentenza del Tribunale di Cassino mette in luce l’importanza di rispettare le modalità di convocazione dell’assemblea condominiale previste dalla legge. L’avviso lasciato nella cassetta delle lettere non è considerato valido, e i condomini devono essere convocati tramite modalità come la raccomandata, la posta elettronica certificata, il fax o la consegna a mano. Gli amministratori di condominio e gli avvocati devono prestare attenzione a questi dettagli per evitare l’annullamento delle deliberazioni e le conseguenti spese legali. È importante seguire le procedure corrette per garantire una gestione efficace e legale del condominio. Secondo l’articolo 66 delle disposizioni attuative del Codice civile, le modalità di convocazione dell’assemblea condominiale devono avvenire necessariamente tramite una delle seguenti forme:

  • raccomandata,
  • posta elettronica certificata,
  • fax,
  • consegna a mano.Queste modalità sono obbligatorie e devono essere rispettate per garantire la validità delle convocazioni.

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Ultimo aggiornamento Martedì, Luglio 18 2023
  
15
Luglio
2023

Il dovere di riservatezza nel procedimento di mediazione;

Questo è veramente importante per chi facesse o volesse fare perquisizioni o altro, senza un Mandato del Giudice:Il dovere di riservatezza nel procedimento di mediazione;
Il procedimento di mediazione prevede il rispetto dell’obbligo di riservatezza a carico delle parti e del mediatore;
Regolamento dell’organismo e garanzia di riservatezza
La riservatezza del procedimento di mediazione deve essere garantita dal regolamento dell’organismo, come quello di OMCI, a cui le parti si rivolgono per tentare di raggiungere un accordo a stabilirlo è l’articolo 3 del decreto legislativo n. 28/2010.
Con l’introduzione della mediazione telematica la riservatezza è prevista anche per tutelare la sicurezza delle comunicazioni e dei dati che vengono acquisiti durante la procedura. Anche in questo caso è il regolamento dell’organismo a dover stabilire le procedure telematiche per garantire la riservatezza. A occuparsi di questo aspetto è il comma 3 dell’articolo 16. Il contenuto specifico del dovere di riservatezza che caratterizza la mediazione però è disciplinato dagli articoli 9 e 10 dello stesso decreto.
Il dovere di riservatezza nella mediazione
L’articolo 9 sancisce il dovere di riservatezza all’interno del procedimento di mediazione.
Chi presta la propria opera o servizio nell’organismo di mediazione e tutti i soggetti che partecipano al procedimento devono rispettare l’obbligo della riservatezza. Le dichiarazioni che vengono rese durante il procedimento e tutte le informazioni che vengono acquisite, e di cui i soggetti sopra menzionati vengono a conoscenza, non possono essere rivelate perché coperte dalla riservatezza.
L’obbligo di riservatezza del mediatore
Il mediatore, per il ruolo che svolge, è tenuto a rispettare un particolare obbligo di riservatezza. La procedura di mediazione prevede infatti, di regola, delle sessioni comuni a cui partecipano tutte le parti coinvolte e delle sessioni separate in cui il mediatore ascolta le ragioni di una sola parte. In quest’ultimo caso il mediatore è tenuto a rispettare la riservatezza nei confronti delle altre parti in merito alle dichiarazioni e informazioni apprese dalla parte nell’ambito della sessione separata.
Dovere di riservatezza anche nel giudizio successivo
Il successivo articolo 10 rinforza la riservatezza sulle dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso della mediazione. Quando la mediazione non ha successo e le parti decidono di iniziare ex novo o proseguire un processo già in corso, le dichiarazioni rese e le informazioni apprese nel corso della procedura di mediazione non possono essere utilizzate, anche se la causa ha un oggetto che coincide, in parte, con quello della mediazione. La norma stabilisce inoltre che sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso della mediazione non sono è ammessa la prova per testimoni o il deferimento del giuramento decisorio. Questo modo di procedere rappresenterebbe una trovata ingegnosa per acquisire informazioni che in sede di mediazione sono tutelare dalla riservatezza.
Il segreto professionale del mediatore a tutela della riservatezza
Il secondo comma dell’articolo 10 prevede una regola ulteriore per impedire che le informazioni emerse ed acquisite durante la mediazione vengano rese note e utilizzate al di fuori della procedura di conciliazione. Il mediatore non può infatti testimoniare e rivelare a un giudice o a un’altra autorità il contenuto delle dichiarazioni rese in sede di mediazione o di altre informazioni apprese nello svolgimento del suo incarico. Al mediatore sono estese le stesse tutele e garanzie che il codice di procedura penale dispone per i difensori.
Il segreto professionale dell’avvocato esteso al mediatore
L’articolo 200 del codice di procedura penale tutela il segreto professionale, per questo motivo è previsto il divieto di obbligare gli avvocati a testimoniare al fine di far rivelare loro informazioni apprese nello svolgimento del loro incarico professionale.
Solo in casi specifici gli avvocati, e quindi anche i mediatori, sono obbligati a “violare” il segreto professionale e rivelare ciò che sanno al giudice:
• quando è la legge ad obbligarli;
• quando il giudice accerta che la loro volontà di non rendere testimonianza è infondata.
Garanzie di libertà del difensore anche per il mediatore
L’articolo 103 del codice di procedura penale prevede invece, per tutelare la riservatezza degli uffici dell’avvocato, limiti alle ispezioni, alle perquisizioni e il divieto di sequestrare carte e documenti della difesa, a meno che non costituiscano corpi del reato. Limiti anche per le intercettazioni. Le conversazioni e le comunicazioni che coinvolgono il difensore e il suo assistito non possono infatti essere intercettate. Se poi l’intercettazione viene disposta il contenuto non può essere trascritto.
Tranne che in casi particolari, quando le perquisizioni, i sequestri, le ispezioni e le intercettazioni vengono compiute in violazione delle regole appena viste, i risultati di queste attività non possono essere utilizzati in giudizio.
Vedere anche l’articolo “Codice Europeo di condotta per i mediatori”

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Ultimo aggiornamento Sabato, Luglio 15 2023
  
12
Luglio
2023

Come eseguire , fare e Pagare una Mediazione ora?

Per chi deve eseguire una Mediazione, Prima deve chiedere se può inviarla, in quanto, siamo abbastanza presi in questo periodo, tra mediazioni e documentazione nuova: se vi diciamo di inviarla  ad ora non cambia assolutamente nulla, si invia la Mediazione, con allegati i Pagamenti (Spese Avvio + spese Amministrative Documentate amministrative come sempre), Una volta designato il Mediatore eseguirà la Mediazione. Al 1° Incontro che è già effettivo, se si procede, il Mediatore vi dirà di pagare l'indennità e Maggiorazione Prevista in caso di Accordo. Solo quando il Ministero farà uscire il nuovo decreto allora cambieranno le cose, ma per ora è tutto uguale a prima. Se si invia quindi una Mediazione, si dovrà allegare il Pagamente delle spese avvio + Spese Vive Amministrative documentate. Tutto scritto a PC che si legga bene. Per chi aderisce è lo stesso, deve inviare a segreteria.legale il doc adesione con allegato il Bonifico con le Spese come sempre fatto. Solo il Ministero può autorizzarci a cambiare qualcosa, csa che per ora non ha fatto. Per questo è tutto come prima (salvo il procedimento che è variato, ma tutto il resto ad ora è immodificabile, quindi cortesemente Leggete sempre prima bene tutto (sotto la scritta come inviare una Mediazione, onde incombere errori). Inolltre chi aderisce deve inviare il documento sempre a Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. e mai ad altri, altrimenti nessuno può sapere che c'è l adesione e con Bonifico allegato. Sperando sia + chiaro (anche se è scritto da tutte le parti), salutiamo.

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Ultimo aggiornamento Mercoledì, Luglio 12 2023
  
12
Luglio
2023

L’accordo di conciliazione sottoscritto dalle pubbliche amministrazioni;

Responsabilità contabile alleggerita per i rappresentanti delle pubbliche amministrazioni che concludono accordi in sede di mediazione civile e commerciale;

Cambiano le regole per gli accordi conclusi in mediazione dalle pubbliche amministrazioni

Dal 28 febbraio 2023 è in vigore, in materia di mediazione civile e commerciale, anche il nuovo articolo 11 bis dedicato agli accordi di conciliazione sottoscritto dalle amministrazioni pubbliche. Il titolo della norma “Accordo di conciliazione sottoscritto dalle amministrazioni pubbliche” però non ne rispecchia il contenuto.

Focus sulla responsabilità dei rappresentanti delle pubbliche amministrazioni

L’unico comma che compone la norma è infatti dedicato alla responsabilità contabile dei rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, che concludono un accordo di conciliazione al termine di una procedura di mediazione civile e commerciale, che può essere avviata presentando la domanda presso un organismo come OMCI. Nello specifico, i rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, così come definite ed elencate dal comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 165/200, quando firmano un accordo di mediazione, sono soggetti al regime di responsabilità previsto dal comma 1bis dell’articolo 1 della legge n. 20 del 14 gennaio 1994. Nello specifico, i rappresentanti delle pubbliche amministrazioni che concludono un accordo in sede di mediazione non vanno incontro ad alcuna responsabilità contabile, a meno che gli stessi non concludano l’accordo con dolo o colpa grave, che consiste in una negligenza inescusabile ricollegabile alla violazione della legge o al travisamento dei fatti. Il nuovo comma dell’articolo 1 della legge n. 20/1994 recita infatti testualmente “in caso di conclusione di un accordo di conciliazione nel procedimento di mediazione o in sede giudiziale da parte dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la responsabilità contabile è limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti”.

La nuova previsione normativa contiene due vantaggi evidenti.

Il primo è rappresentato dalla limitazione della responsabilità contabile ai casi più gravi di dolo o colpa grave. Il secondo invece consiste nella precisazione e illustrazione della condotta del rappresentante della pubblica amministrazione in grado di far sorgere a suo carico la responsabilità contabile. La stessa deve essere cioè il frutto di un atteggiamento improntato al dolo o alla colpa grave riconducibili a una negligenza non scusabile, che deriva dalla violazione di una legge o dalla distorsione/ fraintendimento di un fatto.

Responsabilità attenuata per incentivare il ricorso alla mediazione

Il regime di responsabilità previsto per i rappresentanti delle PP.AA. che concludono accordi in mediazione è stato “alleggerito” per incentivare non solo il ricorso alla mediazione, bensì la conclusione di un accordo, nel pieno rispetto degli obiettivi della legge delega. Il tutto con un notevole risparmio di tempo e denaro per la pubblica amministrazione in generale, che per previsione legislativa è tenuta al rispetto anche dei principi di economicità, efficienza ed efficacia quando svolge la sua attività. Questa novità normativa presenta il pregio di voler risolvere il problema della scarsa propensione delle pubbliche amministrazioni nei confronti della mediazione civile e commerciale. Le ragioni alla base di questa condotta prudente fino ad oggi erano motivate proprio dal timore di poter provocare un danno erariale allo Stato, a causa delle decisioni prese in sede di conciliazione. Con l’innovazione prevista dalla riforma questo rischio viene scongiurato. Per incorrere in responsabilità erariali i rappresentanti delle pubbliche amministrazioni devono commettere errori macroscopici.

 

Il minore rischio di incorrere in una responsabilità contabile restituisce senza dubbio ai rappresentanti delle pubbliche amministrazioni una maggiore libertà e ne valorizza il potere decisionale. Gli stessi possono ora affrontare la mediazione e la conclusione di un accordo con una tranquillità diversa, senza timori rispetto al passato.

 

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Ultimo aggiornamento Mercoledì, Luglio 12 2023
  

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