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Leasing immobiliare e clausola di salvaguardia: spetta alla banca dimostrare il rispetto del tasso soglia;

La clausola che impone di osservare il tasso soglia è oggetto di un’obbligazione contrattuale ed è onere della società di leasing dimostrarne l’adempimento (Cass. Ordinanza 15 Maggio n. 13144/2023)

SINTESI: Il Codice civile dispone che, qualora tra le parti siano convenuti interessi usurari, la relativa clausola sia nulla e nessun interesse sia dovuto (art. 1815 c. 2 c.c.). Per questa ragione, gli istituti di credito, onde evitare di perdere gli interessi a causa di una declaratoria di nullità, sono soliti inserire nei contratti di mutuo (o di leasing immobiliare) una clausola di salvaguardia. Per scongiurare che la fluttuazione del tasso convenzionale di mora possa superare il “tasso soglia” imposto dalla disciplina antiusura (art. 2 legge 108/1996), con la suddetta clausola, la banca (o la società di leasing) si impegna a non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Tale pattuizione assume rilievo sotto il profilo della ripartizione dell’onere probatorio. Infatti, trattandosi di una specifica obbligazione, che la banca assume nei confronti del soggetto finanziato, grava sulla banca stessa l'onere della prova di aver regolarmente adempiuto all'impegno assunto. Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza 15 maggio 2023, n. 13144. La pronuncia è interessante perché ribadisce che la disciplina antiusura trova applicazione sia per gli interessi corrispettivi (ed ai costi posti a carico della parte finanziata nell’ipotesi di regolare adempimento del contratto), sia per gli interessi moratori (ed ai costi posti a carico della parte come conseguenza dell'inadempimento). Al fine di valutare l’usurarietà (o meno) del tasso non è possibile applicare il criterio della sommatoria tra tasso corrispettivo e tasso di mora, atteso che le due tipologie di interessi hanno presupposti diversi.

La vicenda

Un istituto di credito viene evocato in giudizio dalla società con cui ha concluso un contratto di leasing, a tasso variabile, e dal fideiussore, per un importo di circa 184 mila euro. Per quanto qui di interesse, gli attori chiedono di accertare sia l’usurarietà del finanziamento sia non la debenza degli interessi (ex art. 1815 c. 2 c.c.) e, conseguentemente, dichiarare la società creditrice di circa 33 mila euro. Gli attori chiedono, altresì, di accertare, l’invalidità dell’applicazione degli interessi debitori e anatocistici, oltre al risarcimento del danno. In primo e secondo grado, le domande vengono rigettate. Al fine di dimostrare il tasso usurario, gli attori hanno sommato i tassi degli interessi moratori e corrispettivi, affermando che il saggio risultante sia superiore a quello fissato dalla disciplina antiusura. Secondo i giudici di merito, la suddetta sommatoria è scorretta, perché riguarda elementi eterogenei: gli interessi corrispettivi rappresentano la remunerazione del capitale residuo preso a mutuo, mentre gli interessi moratori sono dovuti a causa dell’inadempimento del mutuatario. Inoltre, l’interesse è stato ritenuto non usurario stante la presenza della clausola di salvaguardia contenuta nel contratto di leasing e considerata legittima. Si giunge così in Cassazione.

Premessa: differenza tra interessi corrispettivi e moratori

Gli interessi di pieno diritto o corrispettivi (art. 1282 c.c.) sono quelli prodotti dal denaro in virtù del principio della naturale fecondità (C.M. BIANCA, Diritto Civile. L’obbligazione, 4, Milano, Giuffrè, 1993, § 92). Il denaro è un bene fruttifero, in altre parole si può dire che il denaro genera altro denaro, sotto forma di interessi. Gli interessi corrispettivi sono dovuti a titolo di remunerazione (funzione remunerativa), in cambio del vantaggio che il debitore consegue grazie alla disponibilità del denaro altrui. In altre parole, il fatto che al debitore sia data la possibilità di servirsi di un capitale viene remunerato tramite la corresponsione degli interessi. Gli interessi moratori traggono origine da un ritardo nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria (art. 1224 c.c.), ossia un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro. Al soggetto che riceve con ritardo la prestazione spettano, dal giorno della mora, gli interessi per il ritardo, anche se non ha subito alcun danno; rappresentano una sorta di ristoro per il ritardo (la mora) con cui il creditore riceve il pagamento (funzione risarcitoria). Un particolare tipo di interessi moratori è rappresentato dagli interessi commerciali di cui al d.lgs. 231/2002.

Riassumendo:

  • gli interessi dovuti per il mero uso di denaro altrui sono corrispettivi (art. 1282 c.c.),
  • gli interessi pagati a causa del ritardo nell’adempimento sono moratori (art. 1224 c.c.).

Mentre gli interessi corrispettivi sono dovuti a prescindere dalla colpa del debitore, gli interessi moratori non sono dovuti se il debitore dimostra che il ritardo è dipeso da un fatto a lui non imputabile.

Una volta chiarita la differenza tra le due tipologie di interessi, torniamo alla disamina della decisione.

La disciplina antiusura si applica anche agli interessi moratori

I ricorrenti lamentano che i giudici di merito abbiano escluso la sommatoria dei tassi degli interessi corrispettivi e moratori ai fini dell’applicazione della normativa antiusura; inoltre, anche senza ricorrere alla somma dei saggi, quello moratorio, da solo, risulta superiore al “tasso soglia”. Infine, censurano il fatto che la clausola di salvaguardia sia stata ritenuta valida, solo perché sufficientemente chiara e non diretta a far conseguire vantaggi illeciti a nessuna delle parti.

La Suprema Corte considera fondate le doglianze nei limiti che seguono.

In merito alla disciplina antiusura, la giurisprudenza ha chiarito che essa trova applicazione non solo con riguardo agli interessi corrispettivi, ossia gli interessi posti a carico del mutuatario per il regolare adempimento del contratto, ma anche con riferimento agli interessi moratori, vale a dire gli interessi che gravano sul mutuatario in caso di inadempimento. Le Sezioni Unite hanno affermato che la disciplina in materia di usura intende colpire la promessa di qualsiasi somma che risulti usuraria:

  • «la disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso» (Cass. SS. UU. 19597/2020).

Una volta acclarato che la disciplina in materia di usura opera anche in relazione agli interessi moratori, occorre stabilire quando il tasso dell’interesse di mora risulti usurario e quali conseguenze abbia sul contratto l’eventuale accertata usurarietà dei soli interessi moratori. In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che:

  • la soglia antiusura per gli interessi moratori è diversa e più alta di quella prevista per gli interessi corrispettivi,
  • l’usurarietà del tasso di interesse moratorio non incide sulla validità della pattuizione degli interessi corrispettivi né sull’obbligo di pagamento degli stessi (sempre che la clausola relativa agli interessi corrispettivi risulti rispettosa della normativa antiusura).

No al principio di sommatoria dei tassi degli interessi corrispettivi e di mora

Riassumendo, la giurisprudenza (Cass. 14214/2022) è costante nell’affermare che:

  • il tasso degli interessi moratori è soggetto alla disciplina antiusura,
  • i due tassi (per interessi moratori e corrispettivi) vanno valutati diversamente e separatamente.

Pertanto, non è possibile una disamina caratterizzata dalla ricostruzione di un tasso unitario, frutto della sommatoria dei singoli saggi. In altre parole, è errata la tesi dei ricorrenti secondo cui occorrerebbe operare una sintesi dei due tassi da confrontare con la soglia antiusura. Infatti, la finalità e la funzione delle due tipologie di interessi è diversa:

  • gli interessi corrispettivi sono gli interessi di pieno diritto conseguenti all’adempimento del contratto
  • gli interessi moratori derivano dall’inadempimento o dal ritardato adempimento.

Per valutare la soglia di usurarietà non è possibile ricorre al “principio di sommatoria” dei tassi degli interessi corrispettivi e di mora, così creando un tasso unico, giacché, in tal modo, non si distingue tra costi correlati al regolare adempimento del contratto e costi correlati al suo inadempimento (Cass. 14214/2022). Pertanto, tale criterio1 è incompatibile con i principi espressi dalle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. 19597/2020), nonché dalla giurisprudenza successiva (Cass. 26286/2019, Cass. 31615/2021; Cass. 14214/2022). Tasso moratorio superiore al tasso soglia: pattuizione nulla

I ricorrenti lamentano che, anche senza effettuare la sommatoria dei tassi, nella fattispecie in esame, il tasso di mora sia superiore rispetto a quello soglia. Il contratto di leasing, stipulato nel 2007, prevedeva un tasso del 13,02% per gli interessi moratori a fronte del “tasso soglia” fissato al momento della conclusione del contratto al 9,51% (come da decreto ministeriale relativo al trimestre aprile, maggio, giugno 2007). La legge in materia di usura (art. 2 legge 108/1996) dispone la rilevazione trimestrale del tasso effettivo globale medio e rinvia alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dei decreti ministeriali recanti tale tasso. I suddetti decreti costituiscono «atti amministrativi di carattere generale ed astratto, oltre che innovativo, e quindi normativo, perché completano i precetti di rango primario in materia di usura inserendo una normativa di dettaglio». Tali decreti vanno, dunque, considerati come fonti integrative del diritto, che il giudice è tenuto a conoscere a prescindere dalle allegazioni delle parti, in base al principio iura novit curia (Cass. 35102/2022). Alla luce di quanto sopra, la pattuizione degli interessi moratori nella misura del 13,02% deve considerarsi nulla. Infatti, è nullo il patto con cui «si convengano interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui alla l. n. 108 del 1996, art. 2, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali e calcolato senza maggiorazioni o incrementi» (Cass. 27442/2018).

Clausola di salvaguardia e onere della prova gravante sulla banca

La nullità di cui sopra non può escludersi – come, invece, ha ritenuto il giudice di merito – per la presenza di una clausola di salvaguardia “sufficientemente chiara e valida” non essendo diretta a far conseguire vantaggi illeciti alla banca.Nel caso di specie, il contratto di leasing conteneva una clausola di salvaguardia a tenore della quale nel caso in cui, alla data di stipula del contratto, l'interesse di mora come determinato avesse superato il tasso soglia, si sarebbe proceduto alla rideterminazione dell'interesse al punto percentuale inferiore a quello soglia. La giurisprudenza ha rilevato che la clausola di salvaguardia serve ad evitare che, in presenza di un tasso variabile o modificabile unilateralmente dalla banca, la sua fluttuazione non oltrepassi mai il limite stabilito dalla legge (art. 2 c. 4 legge 108/1996). Sotto il profilo pratico, la clausola non opera a favore del cliente ma a vantaggio dell’istituto di credito. Infatti, nel caso in cui il tasso risultasse usurario, la relativa pattuizione sarebbe nulla e non sarebbero dovuti interessi (art. 1815 c. 2 cc). La clausola di salvaguardia, quindi, assicura che non venga mai superata la soglia dell'usura "oggettiva", escludendo, in tal guisa, il rischio che il tasso convenzionale sia dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca (Cass. 26286/2019). La clausola di salvaguardia è legittima in quanto posta a presidio del rispetto del precetto d'ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari. La presenza della clausola nel contratto ha delle conseguenze sotto il profilo della ripartizione dell’onere della prova. Infatti, essendo l'osservanza del “tasso soglia” oggetto di un’obbligazione contrattuale, «alla logica della violazione della norma imperativa si sovrappone quella dell'inadempimento contrattuale, con conseguente traslazione dell'onere della prova in capo all'obbligato, ossia alla banca» (Cass. 26286/2019).

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