Quando acquistiamo o vendiamo una proprietà, il notaio svolge un ruolo centrale. Non è solo un pubblico ufficiale chiamato ad accertare l’identità delle parti e la validità delle rispettive firme. Egli deve compiere tutte quelle attività prodromiche e successive all’atto per garantire che il trasferimento dell’immobile vada a buon fine. Deve quindi verificare se il venditore è effettivamente titolare del bene e ha il diritto di alienarlo; deve accertare che non vi siano pesi e altri vincoli sul bene (ipoteche, pignoramenti, diritti reali altrui), deve procedere alla registrazione e alla trascrizione dell’atto pubblico. Alla luce di tutte queste incombenze è possibile comprendere quali sono le responsabilità del notaio nella compravendita. Come può proteggere le parti coinvolte? E cosa dice la legge quando le cose non vanno come previsto? In questo articolo, analizzeremo le funzioni e gli obblighi del notaio, con un particolare focus sulle recenti sentenze della Cassazione. La figura del notaio è fondamentale in ogni compravendita. Egli ha il dovere non solo di autenticare l’atto, ma anche di proteggere le parti, fornendo informazioni e consigli. Questo significa che non può basarsi solo sulle dichiarazioni del venditore e dell’acquirente, ma deve effettuare controlli, verifiche catastali e proprietarie, per garantire che la transazione sia regolare. Esempio: Mario dichiara di voler vendere la casa ad Antonio qualificandosi come proprietario. È tuttavia dovere del notaio verificare se effettivamente Mario è proprietario esclusivo dell’immobile sulla base delle risultanze dei pubblici registri immobiliari. Dovrà quindi verificare se la moglie di Mario è in comunione dei beni o se il bene è in comproprietà con altri soggetti. Il notaio non può limitarsi a recepire le volontà delle parti. Ma quali sono gli obblighi informativi e di consiglio del notaio? Oltre ai controlli catastali e ipotecari, il notaio ha il dovere di informare e consigliare le parti. Ciò significa che deve assicurarsi che queste comprendano tutti gli aspetti della transazione e che siano a conoscenza di eventuali problemi. Se omette queste informazioni, può essere ritenuto responsabile. Ad esempio quando l’atto può avere delle implicazioni negative per l’acquirente, è dovere del professionista informare quest’ultimo di tutti i rischi che si assume. Si pensi al caso della vendita di un immobile proveniente da una donazione, quando ancora non sono decorsi 20 anni dalla donazione stessa. Solo il decorso di tale termine infatti protegge l’acquirente dall’eventuale azione di restituzione che gli eredi del donante, eventualmente lesi dalla donazione, potrebbero intraprendere contro di lui. Un altro rischio potrebbe consistere nell’acquistare un immobile privo di agibilità o con un’ipoteca. Seppur è lecito vendere un immobile ipotecato, è bene che l’acquirente sappia che l’ipoteca segue il bene. Sicché, se il venditore non dovesse pagare il proprio debito, il creditore potrebbe sottoporre a pignoramento l’immobile. Altro rischio è quando il prezzo di vendita non viene corrisposto al momento del rogito o non vengono mostrati al notaio gli assegni o i bonifici: il notaio deve avvisare le parti del rischio che qualcuno, mancando l’effettivo trasferimento del denaro, potrebbe impugnare il trasferimento per simulazione. La sentenza della Cassazione n. 23718 del 3 agosto 2023 ha messo in luce un aspetto importante. Se il notaio non informa l’acquirente sull’esistenza di un’ipoteca o di un pignoramento gravante sull’immobile è personalmente responsabile e quindi tenuto a risarcire il danno all’acquirente. Nel caso di specie, un acquirente si era impegnato a pagare 7.000 euro per estinguere un’ipoteca, ma il valore effettivo dell’ipoteca era di 50.000 euro. Secondo la Cassazione, il notaio avrebbe dovuto informare l’acquirente di questa discrepanza. La Cassazione ha sottolineato che le semplici dichiarazioni delle parti non sono sufficienti per esonerare il notaio dai suoi obblighi. Ha l’obbligo di eseguire controlli per assicurare che il bene oggetto della compravendita sia libero da gravami o altre restrizioni. Il notaio non è un medico e quindi non può verificare se i soggetti che ha dinanzi sono nel pieno delle loro capacità mentali. Questo significa che, nonostante l’atto pubblico, è ben possibile impugnare una vendita fatta da un soggetto incapace di intendere e volere. Le parti, per accelerare i tempi e ridurre i costi della parcella notarile, possono esonerare il notaio dal compimento di tutte quelle attività preliminari – come le visure nei pubblici registri immobiliari – che questi altrimenti è tenuto a fare. In tal caso il notaio non sarà responsabile di eventuali pesi sull’immobile come ipoteche e pignoramenti in atto.
Omci - Organismo di Mediazione e Conciliazione Italia
Settembre
2023
Responsabilità del notaio nella compravendita;
Settembre
2023
La figura dell’amministratore di condominio in mediazione alla luce della riforma Cartabia: maggiore autonomia o crescenti responsabilità?
Con l’articolo 37 del D.L. 24 febbraio 2023, n. 13 il 30 giugno è entrato in vigore il nuovo articolo 5-ter del decreto legislativo 28/2010 che ben si colloca all’interno di quel riassetto sostanziale del processo civile in un’ottica di semplificazione, accelerazione e razionalizzazione. Tale intervento impatta, in termini di responsabilità e autonomia, sulla figura professionale dell’amministratore di condominio nell’ambito della legittimazione in mediazione.
1) Le norme rilevanti e l'ambito di applicazione in materia di condominio.
In contemporanea all’introduzione del nuovo art. 5-ter del d.lgs. 28/2010, sono stati abrogati i commi 2, 4, 5 e 6 del vigente articolo 71-quater disp. att. c.c. di cui resta in vigore solo il comma 1, mentre il comma 3 è stato novellato per rinviare al citato articolo 5-ter d.lgs. 28/2010.
Queste ultime disposizioni ci permettono di individuare l’ambito di applicazione della normativa di nostro interesse.
Secondo l’art.71-quater, I co., disp. att. c.c., per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, I co., del d.l. 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice.
La norma definisce l’ambito di applicabilità della condizione di procedibilità in materia condominiale, chiarendo che l’obbligo di mediazione riguarda le cause:
a) tra il condominio e il singolo condomino;
b) quelle tra il condominio e l’amministratore;
c) tra il condominio e i terzi.
Esulano dal procedimento condominiale i giudizi tra singoli condomini.
Il terzo comma dello stesso articolo 71-quater precisa che al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore secondo quanto previsto dall’articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28: “L’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi. Il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa”.
Quest’ultima norma stabilisce perciò che l’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi.
La sua attività incontra il limite della delibera assembleare ai fini dell’approvazione del verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore che dovrà intervenire entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’articolo 1136 c.c..
In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa.
2) Il nuovo ruolo dell’amministratore di condominio alla luce della riforma Cartabia in conformità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito.
L'amministratore di condominio è una figura cruciale nella gestione delle vicende condominiali e da oggi lo sarà ancora di più.
Gestire un condominio vuol dire saper dirimere una notevole quantità di problematiche, sia per la complessità dei rapporti tra i condomini stessi, che per la natura dei beni che lo compongono. Tali problemi possono essere risolti soltanto facendo ricorso a un approccio professionale, che non deve prescindere da alcune competenze tecniche specifiche.
La nuova formulazione dell’art. 5 ter d.lgs. 28/2010 evidenzia come la riforma della Giustizia abbia cambiato in modo considerevole il ruolo dell’amministratore di condominio, e come l’intento del legislatore sia stato quello di proiettarlo in un contesto nuovo, che lo vede protagonista e, al contempo, maggiormente responsabile del suo operato, sempre più autonomo in sede di mediazione civile e commerciale, ma con maggiore dovere di trasparenza e comunicazione nei confronti dei condomini.
Alla luce della normativa, come vedremo, l’amministratore non sarà più condizionato nella partecipazione al procedimento di mediazione dal previo ottenimento di una delibera autorizzativa, ma potrà attivare, aderire e partecipare alla mediazione essendovi legittimato ex lege.
Lo scopo è certamente quello di rendere ancora più celere, oltre che agevole, l’ausilio della mediazione quale strumento di composizione delle controversie alternativo rispetto al giudizio, soprattutto in termini di partecipazione al procedimento. Non è più necessario coinvolgere i condomini al fine di conferire all’amministratore il potere negoziale di rappresentare il condominio coinvolto nella controversia.
Non vi è più neppure la preoccupazione di chiedere al mediatore di concedere proroghe dei termini del primo incontro, per garantire l’assunzione della delibera e la partecipazione titolata dell’amministratore. D’ora in poi, l’amministratore di condominio avrà la facoltà di agire in modo indipendente rispetto all’assemblea, la quale verrà consultata solo in merito alla decisione finale.
Il nuovo testo normativo, di fatto, recepisce e amplia un orientamento da anni avallato dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo il quale l’amministratore di condominio può nominare un avvocato del condominio anche senza una previa delibera di autorizzazione dell’Assemblea, derivando tale potere dal più generale dovere di tutelare il condominio contro le azioni intraprese da terzi (Cfr. ex multis, Cass. n. 1451/2014; Cass. n. 27292/2005; Corte d’Appello di Catanzaro sent. 28 luglio 2022 n. 914).
3) L’autonomia e limiti dell’amministratore alla luce dell’art. 5 ter del d.lgs. 28/2010.
Dall’esame della nuova norma si percepisce immediatamente la scelta del legislatore di minor coinvolgimento dell’assemblea condominiale. Ante riforma, l’intervento deliberativo assembleare si rendeva necessario in almeno due momenti: la partecipazione al procedimento di mediazione e l’approvazione della proposta di mediazione.
I condomini dovevano, quindi, essere coinvolti nel corso della procedura non solo a scopo informativo, ma soprattutto al fine di conferire all’amministratore il potere negoziale di rappresentare il condominio coinvolto nella controversia.
Una delle maggiori problematiche derivanti da questa impostazione si poneva, in particolare, con riguardo ai tempi necessari per convocare validamente un’assemblea condominiale compatibilmente coi termini di 30 giorni stabiliti per la fissazione del primo incontro dalla data del deposito della domanda, a cui rimediava parzialmente la previsione normativa dell’art. 71-quater, co. 4, disp. att. c. c. permettendo il rinvio su specifica istanza del condominio.
Con il nuovo procedimento di mediazione in materia assistiamo ad una rivoluzione nel ruolo dell’amministratore che può individuarsi in:
• ampliamento delle competenze e facilitazione della procedura di mediazione: è in grado di agire in modo più autonomo, riducendo l’interferenza dell’assemblea nella mediazione, permettendo così un processo più snello ed efficace: “l’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi”, la possibilità di avviare la procedura di mediazione, anche senza l’approvazione preliminare dell’assemblea permetterà di attivarsi nell’immediato, trattare, valutare e/o formulare proposte senza dover ricorrere, come avveniva in passato, alla richiesta di differimento del primo incontro al fine di convocare l’assemblea che lo legittimi alla partecipazione.
• Autonomia nella scelta del mediatore e del legale: l’ampliamento dei “poteri” riconosciuti in capo all’amministratore e la sua legittimazione ex lege in materia di mediazione trova riscontro in una serie di azioni indirette collegate, inevitabilmente, allo svolgimento del procedimento. Fondamentale appare la scelta del legale così come quella dell’organismo di mediazione a cui rivolgersi (in caso di attivazione) nonché del mediatore, scelta autonoma compiuta con l’unico obiettivo di trovare professionisti con la competenza e l’esperienza specifiche per gestire al meglio la controversia.
Avviato il procedimento, qualora le parti raggiungano un accordo o sia stata formulata una proposta conciliativa da parte del mediatore, l’amministratore trova il suo primo limite, per la verità già consolidato dell’orientamento della Cassazione secondo la quale in ogni condominio "l'organo principale depositario del potere decisionale è l'assemblea dei condomini", mentre all'amministratore è garantita come "prima e fondamentale competenza" quella di "eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini". Ed è in questa visione che si inserisce.
• Il ruolo decisivo dell’assemblea condominiale per la decisione finale: l’assemblea di condominio rimane comunque l’organismo decisivo per l’accettazione o il rifiuto dell’accordo raggiunto tramite la mediazione: “Il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale”.
L’assemblea, a sua volta, è sottoposta a precise limitazioni:
A) la delibera dovrà avvenire nel rispetto del termine indicato nell’accordo raggiunto o nella proposta conciliativa: ... (l’assemblea condominiale) delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta…. Le parti o il mediatore, dunque, nella redazione dell’accordo o della proposta dovranno prevedere il termine entro il quale l’assemblea dovrà deliberare.
B) il rispetto delle maggioranze previste dall’art. 1136 c.c. ...la delibera dovrà avvenire con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile.
Disposizione quest’ultima ambigua che pone non poche incertezze, considerato che la vecchia formulazione precisava che per l’approvazione della proposta di mediazione era richiesta la maggioranza di cui all’articolo 1136 c.c., II co. (e cioè la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).
E’ parere di chi scrive che, non senza incertezze, bisognerebbe continuare ad approvare l’accordo con la stessa maggioranza.
C) Le due condizioni, se non rispettate, inficiano la conciliazione, che infatti dovrà intendersi come non conclusa: “in caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa”.
Settembre
2023
L’autentica della procura speciale sostanziale non rientra fra i poteri dell’avvocato;
Tribunale di Roma, Sez. V, 28.06.2023, sentenza n. 10276, giudice Luigi Cavallo;
SINTESI: In una vicenda condominiale relativa alla sostituzione dell’amministratore, l’amministratore sostituito impugnava la delibera dell’assemblea straordinaria ex art. 66 disp. att. c.c., con cui veniva nominato il nuovo amministratore e chiedeva il risarcimento dei danni subiti. L’attore contestava la decisione assunta, per l’illegittimità della convocazione autonoma da parte dei condomini, l’apposizione di firme apocrife sul verbale impugnato, la nullità di quanto deliberato per mancata indicazione del compenso del nuovo amministratore, oltre che la mancanza di ogni riferimento alla prima convocazione. Contestava altresì l’illegittimità della delibera per il mancato raggiungimento del quorum deliberativo in assenza delle deleghe dei comproprietari e per le modalità di svolgimento dell'assemblea.
Il Condominio si costituiva eccependo l’improcedibilità della domanda di mediazione sia per mancata presenza personale dell’attore, sia per difformità tra oggetto, ragioni e parti dell’istanza di mediazione e della domanda in giudizio.
Il tribunale, richiamando il noto arresto Cass. n. 8473/19, ha rilevato che per la parte attrice era presente all’incontro di mediazione il solo legale munito di procura speciale autenticata dal difensore stesso, pertanto ha dichiarato l’improcedibilità della domanda con conseguente condanna alle spese.
La Suprema Corte infatti ha stabilito che se l’attore sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore.
PS: Si ricorda anche che con la nuova riforma chi non paga il dovuto, oltre a essere sottoposto a decreto ingiuntivo, si assumerà tutte le Responsabilità davanti al Giudice.
Agosto
2023
CREDITI D'IMPOSTA
Operativi i crediti di imposta per mediazione e negoziazione assistita.
Sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale i decreti che definiscono le modalità di riconoscimento degli incentivi fiscali.
PS: Si ricorda anche che con la nuova riforma chi non paga il dovuto, oltre a essere sottoposto a decreto ingiuntivo, si assumerà tutte le Responsabilità davanti al Giudice.
Agosto
2023
Mediazione: quando il chiamato all'eredità può promuoverla?
Il tribunale di Forlì con sentenza del 03/04/2023 n° 282, si sofferma su legittimazione ed interesse ad agire, mediazione obbligatoria e giudizio successivo;
SINTESI: In sede di mediazione obbligatoria agiscono, in qualità di chiamati all'eredità della madre, i figli di una condomina defunta ai quali sarebbero state imputate spese, che, secondo gli stessi, dovrebbero essere oggetto di ripartizione fra tutti i condomini. La mediazione, che in questo caso rientra nell'obbligo preventivo all'esperimento del processo ex art. 5 del D. Lgs. 28/2010, viene quindi azionata prima della accettazione vera e propria dell'eredità e dell'acquisto della qualifica di eredi. In sede di primo incontro, il Condominio, a seguito di relativa delibera, non aderisce al procedimento; pertanto la mediazione si conclude con esito negativo, aprendo la strada al giudizio da parte dei figli della condomina defunta. In sede processuale, il Condominio convenuto contesta la legittimazione e l'interesse ad agire degli attori, divenuti eredi e quindi aventi diritto all'impugnazione delle delibere assembleari esclusivamente in seguito alla denuncia della successione e alla voltura catastale della proprietà immobiliare ereditata.
Condizioni dell'azione: quando devono sussistere
Anche se la legittimazione e l'interesse ad agire sono strettamente collegati all'accettazione dell'eredità, se dette condizioni dell'azione sopravvengono in seguito all'inizio di mediazione, il giudizio successivo può essere comunque avviato: le stesse devono tuttavia essere necessariamente presenti al momento della decisione.
Le condizioni per l'azione giudiziale devono, pertanto, esistere nel momento della decisione, non essendo presupposto indefettibile che le stesse siano presenti nel momento di proposizione della domanda in sede processuale.
Quanto sopra è stato acclarato dal Tribunale di Forlì - sentenza n. 282 del 3 aprile 2023 (sotto allegata) - al termine di una controversia in materia condominiale, intrapresa in sede giudiziale dagli eredi, figli di una condomina defunta, in seguito all'esito negativo del procedimento di mediazione che gli stessi avevano avviato quando ancora rivestivano la qualità di meri "chiamati all'eredità".
Le contestazioni sollevate dal condominio vengono rigettate
Il Tribunale rigetta le contestazioni sollevate dal Condominio nei confronti degli attori, facendo esplicito riferimento alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 170 del 30 gennaio 1963. Le condizioni per l'azione giudiziale devono, pertanto, necessariamente esistere solo nel momento della decisione.
Agosto
2023
Che cosa si intende per condomino?
Il condominio è una particolare forma di comunione caratterizzata dalla compresenza, in un unico contesto, di beni comuni e di beni privati. Si ha comunione quando la proprietà (o un altro diritto reale, come ad esempio l’usufrutto o la servitù di passaggio) spetta in comune a più persone, i quali sono quindi chiamati “comunisti”. La comunione, dunque, rientra nella più ampia categoria della contitolarità dei diritti, che sussiste ogni volta che un medesimo diritto fa capo a più persone.
Quanti tipi di comunione esistono?
Nell’ambito della comunione è possibile distinguere tre tipologie diverse:
- comunione volontaria, che si ha quando la fonte della contitolarità sta nella libera volontà delle parti. È il caso di due amici che decidono di acquistare insieme la stessa auto;
- comunione incidentale, che si costituisce indipendentemente dalla volontà delle parti ma può sciogliersi se queste lo vogliono. Esempio tipico è quello dell’eredità: quando il genitore muore i figli diventano coeredi per legge, titolari quindi della comunione ereditaria, che però può essere sciolta su richiesta anche di un solo erede;
- comunione forzosa, che si verifica ogni volta che è la legge a imporla, senza che i contitolari possano scioglierla. È proprio il caso del condominio, con riferimento alla comunione sulla parti comuni.
Quali sono le caratteristiche del condominio?
Il condominio è una particolare forma di comunione forzosa e indivisibile, caratterizzata dal fatto che i singoli proprietari non possono chiedere lo scioglimento della contitolarità sulle parti comuni (a meno che non siano tutti d’accordo) . Il condominio è quindi caratterizzato dalla presenza di più proprietari esclusivi (almeno due) di parti distinte di un medesimo fabbricato (piani o porzioni di piani), i quali per necessità pratiche restano in comune proprietari pro indiviso di talune altre parti dell’edificio, cioè di quelle cosiddette comuni.
Cosa si intende per condomino?
In senso giuridico, il condomino è il proprietario di almeno un’unità immobiliare sita in un edificio condominiale. Il condomino, quindi, non è né l’inquilino che vive in affitto né l’usufruttuario, ma solo e soltanto il proprietario. Da tanto derivano alcune importanti conseguenze. Vediamo quali.
Condominio: chi può partecipare all’assemblea?
La qualità di condomino è fondamentale per la partecipazione all’assemblea. I condòmini, infatti, sono praticamente sempre legittimati a prendere parte all’adunanza. Di conseguenza, l’amministratore dovrà convocare ogni proprietario, anche se di fatto non vive nell’edificio. Mentre per il condomino la partecipazione all’assemblea è la regola, esistono altri soggetti che solo eccezionalmente possono prendere parte, con diritto di voto, all’interno del consesso; si tratta:
- degli inquilini, relativamente alle decisioni di servizi di riscaldamento e di condizionamento dell’aria . Il conduttore ha inoltre il diritto di intervenire, senza diritto di voto, sulle assemblee relative alla modificazione degli altri servizi;
- l’usufruttuario, negli affari che attengono all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni .
Condominio: chi deve pagare le spese?
La qualità di condomino è fondamentale anche per ciò che concerne il pagamento delle spese. Secondo la legge, spetta all’inquilino il pagamento del condominio relativo alle spese ordinarie (ovvero le riparazioni, la pulizia, riscaldamento, la manutenzione dell’ascensore e il portiere). Le spese straordinarie restano a carico del padrone di casa, ne fanno parte, ad esempio la riparazione del tetto o guasti non prevedibili. Tra le spese che spettano al condomino (e non all’inquilino) c’è anche il compenso dovuto all’amministratore.
Condominio: chi deve rispettare il regolamento?
Il conduttore è obbligato al rispetto del regolamento di condominio, in particolare per quanto riguarda l’uso delle parti comuni e la ripartizione delle spese. Tale obbligazione discende però non dalla qualifica di condomino (che, come detto, resta in capo al locatore) ma dalla stipula del contratto di locazione, nel quale il condomino/locatore deve (a propria tutela) prevedere l’obbligo del conduttore di conformarsi alle norme del regolamento. Per ulteriori approfondimenti su questo specifico tema, si legga l’articolo dal titolo Regolamento condominiale per inquilini.
Agosto
2023
Delibera condominiale: la parte istante non può dolersi del ritardo con cui l'organismo ha inviato la comunicazione alla parte convocata se la stessa ha omesso di predisporre la comunicazione così come indicato dall’art. 8, comma 1, D.lgs 28/2010;
Corte d’appello di Palermo, Sez. II, 7.06.2023, sentenza n. 1109, giudice relatore ausiliario Maruzza Pino;
SINTESI: In un giudizio di impugnazione di delibere condominiali, il Tribunale di Palermo nel 2018 aveva rigettato la domanda di due condòmini volta all’annullamento e/o declaratoria di nullità delle delibere, con condanna alle spese. Gli stessi proponevano appello avverso tale sentenza e il Condominio si costituiva. Col primo motivo di appello i condomini lamentavano che il Tribunale avesse ritenuto tardiva l'impugnazione e la Corte lo ha ritenuto infondato.
Il Tribunale ha respinto l'impugnazione per essere gli asseriti vizi attinenti a profili di annullabilità e dunque, ai sensi dell'art. 1137 c.c., non più deducibili oltre il termine di trenta giorni dalla ricezione del verbale assembleare. Sulla questione relativa al tipo di invalidità che inficia le delibere di assemblea condominiale, la Corte richiama sia la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione n. 4806 del 2005 che ha tracciato il criterio distintivo tra delibere nulle e annullabili, le prime affette da "vizi di sostanza", le seconde da "vizi di forma" sia il recente arresto della Corte di cassazione a Sezioni Unite, sentenza n. 9839/2021.
Gli appellanti deducono di aver agito tempestivamente, avendo proposto istanza di mediazione nel rispetto del termine di trenta giorni e che il ritardo nella comunicazione dell'avvio del procedimento alla controparte, a cura del mediatore, non può riverberarsi in loro danno. Invece, secondo la corte territoriale, la parte istante non può dolersi del ritardo con cui l'organismo ha inviato la comunicazione alla parte convocata se la stessa ha omesso di predisporre la comunicazione così come indicato dall’art. 8, comma 1, D.lgs 28/2010 in quanto tale comunicazione della domanda di mediazione alla controparte può avvenire ex articolo 8, comma 1, del D.lgs. n. 28 del 2010, “anche a cura della parte istante”. La stessa potrà e dovrà, secondo un criterio di diligenza minima, avvalersi di tale facoltà proprio al fine di prevenire gli effetti pregiudizievoli delle eventuali lungaggini della procedura conciliativa.
La corte di Palermo ha pertanto rigettato il motivo d’appello e condannato gli appellanti alla rifusione delle spese.
Agosto
2023
All’organismo di mediazione spetta il compenso se si accetta il regolamento;
La sottoscrizione del Regolamento dell’Organismo di mediazione e l’impegno a pagare i costi della procedura e le indennità fa sorgere il diritto al compenso;
Compenso per l’organismo se le parti accettano e sottoscrivono il regolamento
L’organismo di mediazione ha diritto al compenso per l’attività svolta se le parti hanno letto e sottoscritto il Regolamento in sede di redazione dell’istanza di mediazione, la cui accettazione è stata poi richiamata nel verbale del primo incontro e nel successivo, che ha attestato l’esito negativo della mediazione. Lo ha chiarito il Tribunale di Siracusa nella sentenza n. 1486/2023 del 31/07/2023, in veste di giudice di appello.
Decreto ingiuntivo per l’organismo di mediazione a cui non viene pagato il compenso
Un organismo di mediazione ottiene un decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento del compenso relativo all’attività di mediazione prestata, procedura che può essere avviata anche presentando Domanda di Mediazione presso una delle sedi di OMCI. Parte avversa si oppone al decreto con cui si chiede di pagare l’organismo perché si è tenuto solo il primo incontro di mediazione. All’organismo spettano solo le spese per avviare la procedura, tanto più che la procedura si è conclusa con esito negativo. Parte opponente rileva la nullità del contratto che l’organismo sostiene di avergli fatto sottoscrivere in quanto non gli è stato esibito né fatto leggere il Regolamento dell’organismo. Non è stato quindi possibile comprendere quando e in che modo sarebbe sorto il diritto al compenso dell’organismo.L’organismo contesta le eccezioni sollevate e fa presente che il Regolamento è stato visionato dalle parti prima della firma e che il compenso richiesto è stato calcolato nel rispetto delle regole. Il giudice di pace in primo grado accoglie l’opposizione, ma l’organismo di mediazione appella la decisione di fronte al Tribunale.
Accettazione e firma del regolamento fanno sorgere il diritto al compenso dell’Organismo
In sede di appello parte opponente contesta la versione dei fatti fornita dall’organismo di mediazione ritenendola infondata in fatto e in diritto.Il Tribunale però ribalta la decisione del giudice di pace, poiché l’appello è fondato.
Dall’istruttoria è emerso che le parti si sono rivolte all’organismo di mediazione, hanno depositato la Domanda per avviare la procedura e dopo averla letta e sottoscritta hanno chiesto la convocazione delle controparti. Uno degli opponenti ha firmato espressamente la clausola del contratto che prevedeva l’accettazione del Regolamento e l’impegno di pagare i costi del primo incontro e, in caso di prosecuzione, le indennità per la procedura specificate sul sito dell’organismo.
Quando si è tenuto il primo incontro il mediatore ha specificato nel verbale che le parti e gli avvocati erano concordi nell’intraprendere la procedura di mediazione, che hanno accettato il Regolamento e che si sono impegnati a versare le indennità previste dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 28/2010 per avviare la mediazione, svolgere il primo incontro e quelli successivi ed eventuali. Detto verbale è stato quindi letto e firmato dalla parte opponente e dai difensori.
Nell’incontro successivo al primo, dopo la rinuncia a proseguire la procedura comunicata a mezzo mail dal difensore della parte opponente, è stato specificato a verbale il mancato raggiungimento dell’accordo.
Anche a questo incontro, a cui hanno partecipato la parte opponente e il proprio difensore è stato ribadito che la stessa aveva firmato il regolamento e si era impegnata a versare le indennità previste dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 28/2010. Per il Tribunale, la sottoscrizione del Regolamento dell’Organismo di mediazione e dei due verbali di incontro, che hanno fatto espresso richiamo all’accettazione del Regolamento ha determinato l’insorgenza del diritto al compenso spettante all’organismo. La società di mediazione quindi è creditrice nei confronti della controparte dell’importo come risultante dalla fattura prodotta in giudizio.
Agosto
2023
Riforma: mediazione obbligatoria in materia di franchising;
La riforma Cartabia prevede per il contratto di franchising la mediazione obbligatoria. La novità è in vigore dal 30 giugno 2023;
Franchising: mediazione obbligatoria
La riforma Cartabia ha ampliato il numero delle materie in cui la mediazione civile e commerciale è obbligatoria. Una delle materie che il legislatore ha introdotto ex novo nel primo comma dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010 è il franchising. Chi vuole quindi agire in giudizio per esercitare un’azione relativa a una controversia in materia di franchising deve prima andare in mediazione, presentando la domanda presso una delle sedi di OMCI.
La procedura di mediazione infatti, in materia di franchising, è condizione di procedibilità della domanda. Il mancato rispetto di questa fase stragiudiziale può quindi essere eccepita dalla controparte o rilevata d’ufficio da parte del giudice. Questa nuova regola è in vigore dal 30 giugno 2023.
Il contratto di franchising o affiliazione commerciale
La disciplina del franchising è contenuta nei pochi articoli che compongono la legge n. 129 del 2004. Il primo articolo di questa legge definisce il franchising come il contratto in cui una parte (affiliante) concede ad un’altra (affiliato) in cambio di una somma di denaro, un insieme di diritti di proprietà industriale e intellettuale relativi a marchi, brevetti, diritto d’autore e know how. L’affiliato inoltre riceve assistenza e consulenza da parte dell’affiliante, il quale lo inserisce in un sistema formato da altri affiliati presenti sul territorio nazionale per commercializzare determinati beni e servizi. Con questo contratto l’affiliante o franchisor ampia la propria presenza nel mercato e riceve in cambio un diritto di ingresso e una percentuale che varia in base al giro di affari che l’affilante riesce a realizzare. L’affiliato o franchisee ha invece la possibilità di avviare un’attività con meno rischi grazie al modello di vendita già sperimentato dall’affiliante.
Obblighi del franchisor e del franchisee
Come tutti i contratti, anche quello di franchising prevede diritti, ma anche obblighi a carico delle parti. Il primo obbligo che grava sul franchisor è quello di informare il franchisee sulla crescita potenziale dell’attività e consegnarli diversi documenti da allegare al contratto. Il mancato rispetto di quest’obbligo da parte del franchisor legittima il franchisee a chiedere la risoluzione del contratto. Da parte sua il franchisee deve rispettare il divieto di trasferimento della sede in assenza del consenso del franchisor e l’obbligo di riservatezza sul contenuto dell’attività, che non viene meno neanche in caso di cessazione del rapporto. Come previsto poi in generale per tutti i contratti, le parti devono rispettare i doveri di lealtà, buona fede e correttezza sia prima che durante la stipula del contratto e poi per tutta la durata del rapporto.
Possibili controversie da risolvere in mediazione
Il contratto di affiliazione in effetti può essere motivo di contrasto tra le parti coinvolte. I litigi possono scaturire a causa del mancato rispetto delle regole contrattuali. Il franchisee potrebbe violare, ad esempio, il segreto industriale o gli accordi sulla concorrenza territoriale. Il franchisor invece potrebbe non fornire all’affiliato le informazioni, il supporto e la consulenza necessarie per far decollare l’attività. La mediazione in genere ha successo nella risoluzione delle controversie che si riferiscono a rapporti di durata. Il franchising beneficerà quindi sicuramente di tale innovazione legislativa.
Agosto
2023
Nel corso della mediazione obbligatoria, sospese le attività processuali;
La Cassazione dichiara illegittima la fissazione di un termine per il deposito delle memorie difensive contemporaneamente a quello concesso per la mediazione obbligatoria;
Nei casi in cui la mediazione è obbligatoria il suo corretto svolgimento costituisce condizione di procedibilità dell’azione e finchè questa non è avverata è preclusa qualsiasi attività processuale, ad eccezione dei provvedimenti cautelari e urgenti. Questo quanto emerge dalla ordinanza della Cassazione n. 22038/2023 del 24/07/2023.
La vicenda
Nella vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte, riguardante una servitù, la conduttrice di un fondo rustico attraversato da un canale per lo scolo delle acque subiva danni a causa dell’omessa ripulitura dello stesso, per cui trascinava in giudizio i responsabili chiedendo i danni. Nel giudizio di merito, le sue ragioni venivano disconosciute e la donna impugnava la sentenza di prime cure lamentando il diniego della richiesta di rimessione in termini per il deposito delle memorie ex art. 183, comma sesto, c.p.c., sostenendo che il termine era stato erroneamente concesso contestualmente a quello per il tentativo di mediazione obbligatoria, in pendenza del quale, invece, ogni attività processuale doveva essere sospesa. In appello, il giudice perseverava nell’errore respingendo il gravame della donna e la stessa adiva il Palazzaccio.
Mediazione obbligatoria e prosecuzione del giudizio
Per gli Ermellini, il ricorso è fondato. “Rientrando tra gli istituti deflattivi del contenzioso – ora potenziato dalla riforma Cartabia (d.lgs. n. 149/2022) – e introdotta con l’intento di promuovere il ricorso a procedure stragiudiziali per ridurre l’elevato livello delle pendenze del processo civile, la mediazione disciplinata dal d.lgs. n. 28/2010, modificato dal d.lgs. n. 69/2013, costituisce, per espressa volontà legislativa, una condizione di procedibilità della domanda giudiziale” affermano preliminarmente da piazza Cavour. Condizione che, proseguono, “deve essere assolta prima dell’esercizio dell’azione giudiziale (cfr. art. 5 comma 1). Laddove la domanda giudiziale sia stata proposta in assenza del previo esperimento del procedimento di mediazione, il giudice deve rinviare l’udienza, assegnare alle parti un termine per consentire l’avvio del procedimento e fissare una nuova udienza per verificare l’avverarsi della condizione di procedibilità richiesta”. Nel caso di specie, il giudice di prime cure ha dato inizio al processo, assegnando in udienza contestualmente alle parti i termini per il deposito delle memorie ai sensi dell’art. 183 c.p.c. e il termine di 15 gg. per l’esperimento del tentativo di conciliazione, autorizzando così il deposito delle memorie istruttorie prima del verificarsi della condizione di procedibilità accertata come omessa dallo stesso giudicante, su eccezione tempestivamente proposta della parte. La disciplina della condizione di procedibilità in esame, aggiungono quindi dalla S.C., “si intreccia con il processo civile sia in ordine al compimento o meno delle attività successive all’assegnazione del termine, sia in ordine alle attività che, dopo tale assegnazione, possono essere compiute in sede giudiziaria. Soccorre a quest’ultimo riguardo l’art. 5 comma 3 del d.lgs. n. 28/2010, che specifica quali sono le uniche attività che il giudice può compiere nelle more dello svolgimento della mediazione, ossia la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari (a ciò si aggiunge per la parte la possibilità di trascrivere comunque, nei giudizi che lo prevedano, la domanda giudiziale). Restano pertanto esclusi tutti i provvedimenti che sono privi di tale carattere e che, per loro natura, attengono alla prosecuzione del procedimento giudiziale”. La norma in questione, quindi, “non può che essere di stretta interpretazione, posto che essa introduce una parziale attenuazione del regime di improcedibilità, giustificata da esigenze di celerità processuale”.
Il principio di diritto
Come affermato del resto in altre occasioni dalla giurisprudenza di legittimità, “il procedimento di mediazione obbligatoria si pone per dir così ‘a monte’ dell’inizio del processo, tanto che, ove la stessa non sia esperita nei casi previsti obbligatoriamente dalla legge, il processo neppure può avere inizio e la domanda giudiziale non è procedibile” (cfr. Cass. n. 34814/2022).
La Corte d’Appello ha dunque errato nel caso in esame, poiché “era assolutamente preclusa al giudice la possibilità di concedere, contestualmente al termine per l’avvio della procedura di mediazione obbligatoria, anche i termini per il deposito delle memorie istruttorie e dunque di proseguire oltre nella trattazione della causa in assenza del previo accertamento della verifica della condizione di procedibilità dell’azione”. Né può parlarsi, concludono dalla Corte, “di rinuncia implicita ad una eccezione (quella del mancato spletamento della mediazione obbligatoria) che, una volta proposta e accolta dal giudice, vincola questi al rispetto delle prescrizioni poste dal d.lgs. n. 28/2010 ed appare quindi sottratta alla disponibilità sostanziale e processuale della parte”. Da qui l’accoglimento del ricorso e la cassazione della decisione impugnata con l’affermazione del seguente principio di diritto: “L’art. 5 comma 3 del d.lgs. n. 28/2010, secondo il quale lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti cautelari e urgenti, vieta al giudice il prosieguo del giudizio in pendenza dei termini concessi per l’espletamento della procedura di mediazione, fino all’udienza di verifica dell’avveramento della condizione di procedibilità”.
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