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OMCI - Organismo di Mediazione

Omci - Organismo di Mediazione e Conciliazione Italia

30
Maggio
2024

Finito il termine massimo di durata del procedimento di mediazione, inizia nuovamente a decorrete il termine di decadenza previsto dall'art.1137 cc;

Tribunale di Salerno, 18.09.2023, sentenza n. 3851, Giudice Loredana Palcera.

SINTESI: Il caso in esame riguarda una vertenza in materia di impugnativa di delibera condominiale, nella quale la parte convenuta ha eccepito la tardività della predetta impugnativa.

In merito, il Tribunale ha così statuito ex ante riforma Cartabia:

  • il termine di decadenza di trenta giorni, per impugnare le delibere assembleari ex art.1137 cc, si interrompe a seguito della comunicazione della convocazione dinanzi all'organismo di mediazione e decorre nuovamente a seguito dell'infruttuoso esperimento della mediazione stessa;
  • trattandosi di un termine di decadenza, esso non può però divenire di durata incerta ed indeterminabile;
  • i termini decadenziali previsti non sono nella disponibilità delle parti e possono essere soggetti a proroga, sospensione o interruzione, solo nei casi eccezionali tassativamente previsti;
  • il termine massimo di durata del procedimento di mediazione è fissato in tre mesi;
  • il procedimento di mediazione che si protrae oltre il termine di legge per volontà delle parti perde la propria tipicità e non può salvare, per tutta la sua durata ulteriore, gli effetti interruttivi e sospensivi eccezionalmente previsti;
  • pertanto, le parti sono libere di continuare nella ricerca dell'accordo conciliativo anche oltre la scadenza dei tre mesi, decorso il quale però la parte interessata all'impugnativa della delibera condominiale è tenuta a presentare la domanda giudiziale non potendo attendere che venga depositato il verbale negativo presso l'organismo di mediazione.  
    Per tali ragioni, il Giudice ha dichiarato tardiva ed inammissibile la domanda e condannato l’attore al pagamento delle spese processuali.

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Ultimo aggiornamento Giovedì, Maggio 30 2024
  
22
Maggio
2024

Ripartizione spese condominio: regole e criteri da applicare;

La ripartizione delle spese condominiali è un aspetto cruciale dell'attività degli amministratori di condominio: ecco come gestirla al meglio

  • Come ripartire le spese condominiali
  • La ripartizione delle spese condominiali nel codice civile
  • I criteri di ripartizione: il valore dell'immobile e l'uso
  • Soluzioni informatiche per la corretta ripartizione spese del condominio

Come ripartire le spese condominiali

La ripartizione delle spese in condominio rappresenta uno dei temi più importanti per la corretta gestione della vita condominiale ed è una delle principali attività svolte dall'amministratore, che ha il delicato compito di individuare i corretti criteri per addebitare le spese in capo ai vari proprietari dello stabile o agli inquilini che vi abitano. Al riguardo, il codice civile individua alcune regole generali ed altre di dettaglio, che indicano con chiarezza i criteri di riparto delle spese condominiali, pur lasciando spazio, in alcuni casi, all'autonomia dei condòmini nello stabilire regole di ripartizione diverse da quelle codicistiche. Per semplificare le operazioni di calcolo è possibile avvalersi di un apposito programma per la ripartizione delle spese del condominio.

La ripartizione delle spese condominiali nel codice civile

In tema di ripartizione delle spese condominiali, la regola principale che viene in rilievo è quella disposta dal primo comma dell'art. 1123 del codice civile, che, con riguardo alle parti comuni (androni, scale, ascensore, impianti etc.) individua nel valore dell'immobile di ogni condomino il parametro da prendere come riferimento. Tale norma, infatti, stabilisce che le spese relative alla conservazione e all'uso delle parti di proprietà comune dello stabile sono sostenute dai titolari delle unità immobiliari in proporzione al valore di ogni proprietà. Con lo stesso criterio vanno ripartite, altresì, le spese sostenute per la prestazione dei servizi nell'interesse comune (ad esempio, l'assicurazione dell'edificio). Come detto, il codice fa salve, in questi casi, le eventuali differenti disposizioni concordate dai condomini, a condizione che l'accordo sulle stesse sia stato ottenuto all'unanimità in assemblea o, in alternativa, sia contenuto in un regolamento condominiale contrattuale predisposto dal costruttore e riportato negli atti di acquisto dei vari proprietari.

I criteri di ripartizione: il valore dell'immobile e l'uso

Lo stesso art. 1123 c.c., nei commi successivi, prevede due importanti eccezioni alla regola sopra esaminata, che, come abbiamo visto, è legata al valore di tutte le unità immobiliari che compongono l'edificio. In base al secondo comma dell'articolo citato, infatti, quando una parte comune dello stabile serve le varie unità immobiliari in misura differente, il criterio proporzionale con cui ripartire le spese fa riferimento non più al valore della proprietà, ma all'uso che ogni condomino può farne. Gli esempi più classici, in questo senso, sono le scale e l'ascensore, che vengono utilizzate maggiormente da chi abita ai piani superiori: maggiore è l'altezza del piano, maggiori sono i consumi dell'ascensore o le rampe di scala utilizzate. È proprio questo il motivo per cui, quando si redigono le tabelle millesimali relative alla ripartizione delle spese del condominio, si predispongono appositi prospetti per scale, ascensore (si veda l'art. 1124 c.c.), impianto autoclave e simili. L'ultimo comma dell'art. 1123 c.c., invece, si occupa del particolare caso (ricorrente spesso in edifici di medie o grandi dimensioni) in cui ciascuna scala, cortile o altra parte comune è posta al servizio di alcune soltanto delle unità immobiliari che compongono l'intero stabile. Ebbene, in tale eventualità, per i relativi interventi di manutenzione, non ha senso chiedere la partecipazione alle spese anche ai proprietari degli appartamenti che non sono serviti da quella particolare parte comune (si pensi ad un impianto autoclave o di riscaldamento posto al servizio di una limitata parte dell'edificio). Per tale motivo, in ipotesi di questo genere, le spese di manutenzione sono ripartite esclusivamente tra quei condomini che traggono beneficio da quella specifica parte comune.

Soluzioni informatiche per la corretta ripartizione spese del condominio

Come si vede, già nelle sue linee generali la materia della ripartizione delle spese condominiali si dimostra piuttosto articolata. E le cose si complicano ulteriormente quando occorre distinguere tra spese ordinarie e spese straordinarie, o tra spese a carico del proprietario e spese a carico del conduttore.Proprio per questo, è indispensabile, specialmente per i professionisti come gli amministratori di condominio, utilizzare appositi software gestionali che consentano di tenere sotto controllo, e a portata di clic, tutti gli aspetti salienti riguardanti la ripartizione delle spese di ogni specifico condominio, con criteri differenti a seconda del tipo di edificio e degli accordi eventualmente pattuiti dai proprietari. Ad esempio, come si accennava poco sopra, non tutte le spese devono essere gestite allo stesso modo, sia sotto il profilo della tempistica che sotto quello procedurale. Si pensi al servizio di pulizia delle scale, o al pagamento delle bollette per l'illuminazione dello stabile. In questo caso, solitamente si attinge da un fondo cassa predisposto in precedenza, con il contributo sia dei proprietari che degli inquilini. Si tratta, infatti, di spese correnti, che vengono ripartite periodicamente sempre secondo un medesimo criterio, che l'amministratore potrà facilmente gestire, eventualmente con l'apertura di un esercizio ausiliario apposito. Inserendo, di volta in volta, pochi dati nel piano dei conti appositamente predisposto (fondamentalmente i movimenti, con l'importo da pagare e le informazioni presenti in fattura), il programma per la ripartizione delle spese del condominio restituirà gli importi da addebitare a ciascun proprietario. Allo stesso modo, quando si deve procedere alla ripartizione di una spesa straordinaria o ad un intervento di una certa importanza su un impianto condominiale, un gestionale informatico rende tutto più semplice. Facciamo l'esempio del rifacimento delle facciate esterne dell'edificio: i fattori da tenere presenti, in questo caso, sono molteplici, dal valore di ciascuna proprietà, al numero di unità immobiliari interessate dall'intervento, fino all'applicazione dei corretti coefficienti che fanno riferimento a criteri variabili, come i millesimi oppure i soggetti beneficiari delle agevolazioni fiscali. È evidente che, in casi come questi, avere a portata di mano tutte le informazioni e i dati necessari ad un calcolo rapido e corretto è fondamentale. Su un software gestionale per amministratori di condominio tutto questo è possibile, perché, ad esempio, puoi creare facilmente nuovi prospetti di ripartizione, suddividendo le spese su più conti o sottoconti e importando le tabelle millesimali già in tuo possesso, oltre ad eseguire online, in pochi passi, anche le più complesse operazioni di gestione contabile e di ripartizione delle spese condominiali. Puoi, inoltre, predisporre un database dettagliato relativo ad ogni soggetto coinvolto nei vari processi di pagamento (proprietari, conduttori, fornitori di prodotti e servizi), tenere traccia delle decisioni assunte in sede di assemblea e gestire facilmente le varie fasi di incassi e pagamenti, come quelli relativi agli interventi effettuati e ai compensi dovuti all'amministratore (ad esempio per gli adempimenti fiscali, come fatturazione elettronica, detrazioni Irpef e redazione dei modelli Cu e 770).

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Ultimo aggiornamento Mercoledì, Maggio 22 2024
  
21
Maggio
2024

Sul sito del ministero della giustizia lsg.giustizia.it è stata attivata la piattaforma per richiedere i nuovi incentivi fiscali per la mediazione civile e commerciale riconosciuti dalla riforma Cartabia (D.Lgs. 149/2022);

Entra nel vivo il beneficio fiscale del credito di imposta.

E’ stata messa in funzione la piattaforma in attuazione del decreto 1° agosto 2023 Incentivi fiscali nella forma del credito di imposta nei procedimenti di mediazione civile e commerciale e negoziazione assistita. (23A04557) (GU Serie Generale n.183 del 07-08-2023) in https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/08/07/23A04557/SG).

Ad essa si può accedere tramite: SPID, Carta nazionale dei servizi (CNS) e Carta d'identità elettronica (CIE). Dopo l'accesso, occorre scegliere la voce istanza credito di imposta e completare i moduli online per inserire le informazioni necessarie.
Una volta ricevute le domande, il ministero della Giustizia farà le verifiche necessarie e comunicherà ai richiedenti l'importo spettante entro il prossimo 30 aprile 2024 (DM 1° agosto 2023).

Le domande vanno presentate, per le procedure iniziate dopo il 30 giugno 2023, entro il 31 marzo 2024 da questa pagina  https://lsg.giustizia.it/

Altre risorse
https://www.quotidianopiu.it/dettaglio/10820671/mediazione-civile-attiva-la-piattaforma-per-i-bonus

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Ultimo aggiornamento Martedì, Maggio 21 2024
  
07
Maggio
2024

OMCI ROM 251 Ente Formativo 303;

OMCI RICERCA NUOVI MEDIATORI, SERI, MOTIVATI CON CORSI Già ESEGUITI. IN PARTICOLARE, AVVOCATI, GIURISTI, ECOMISTI PER INFO, Scrivere a Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Richiediamo a tutti inoltre, di non chiamare al telefono, ma di inviare all indirizzo mail sopra scritto il vostro curricula, in modo da avere il tempo di verificare tutto e una volta fatto, saremo Noi a chiamare Voi.


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Ultimo aggiornamento Mercoledì, Maggio 08 2024
  
06
Maggio
2024

La pec non garantisce il contenuto dell'allegato;

La Cassazione ribadisce che la posta elettronica certificata dimostra l'invio e la ricezione del messaggio ma non può garantire il contenuto del documento allegato.

"La posta elettronica certificata dimostra l'invio e la ricezione del messaggio, ma non garantisce il contenuto del documento allegato". E' il principio ribadito dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 10091/2024.

Non si può, in altri termini, dalla circostanza che la posta elettronica è certificata, dedurre che anche il documento allegato lo è, o meglio, che quel documento è riferibile al suo autore, e che ha effettivamente quel contenuto.

La Pec, in sostanza, confermano dal Palazzaccio, "è in grado di attestare in maniera certa l'avvenuta trasmissione e ricezione del messaggio, le modalità di spedizione (data, ora e formato) ed anche il suo contenuto, ma limitatamente alla Pec stessa, non al file allegato ad essa".

Pertanto, se alla stessa è stato allegato un file con un determinato nome, estensione, formato e dimensioni la ricevuta lo attesterà, ma non farà prova del contenuto di quel file, "occorrendo, a tal fine, che sul file allegato sia apposta la firma digitale, che certificherà la provenienza del documento e la sua integrità". Per questo è sempre meglio è più certo, inviare tutto via posta con Raccomandata con ricevuta di  ritorno.

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Ultimo aggiornamento Lunedì, Maggio 06 2024
  
02
Maggio
2024

Mediazione: le parti devono partecipare personalmente o a mezzo di un soggetto munito dell'effettivo potere di disporre del diritto controverso, a mezzo procura speciale sostanziale, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale;

Tribunale di Napoli Nord, 04.05.2023, sentenza n. 1810.

SINTESI: Il caso in esame riguarda una vertenza in materia di opposizione a decreto ingiuntivo.
Il Giudice, dopo aver provveduto in merito all'istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, assegnava alla parte opposta termine di giorni quindici per l'esperimento del procedimento di mediazione e rinviava la causa ad una successiva udienza per verificare la procedibilità della domanda.
In relazione alla ritualità del procedimento di mediazione, il Tribunale ha precisato quanto segue:
- non è sufficiente la presenza del difensore, ma è invece necessaria la partecipazione della parte, personalmente o a mezzo di procuratore speciale munito di procura sostanziale, non essendo idonea la procura alle liti rilasciata al difensore;
- l'art. 8, comma 1, del D.lgs. n. 28/2010 s.m.i. stabilisce espressamente la partecipazione al primo incontro e a quelli successi della parte, con l’assistenza dell’avvocato;
- non si tratta di un'imposizione meramente formale, ma della necessitò di promuovere un contatto diretto ed un dialogo effettivo tra le parti sotto la guida del mediatore professionale;
- vi è la possibilità di delegare la partecipazione alla mediazione ad un soggetto munito dell'effettivo potere di disporre del diritto controverso, a mezzo procura speciale sostanziale;
- la procura sostanziale alla mediazione può essere conferita anche allo stesso difensore;
- pertanto, solo con la partecipazione personale - o a mezzo di procuratore speciale - delle parti al primo incontro dinanzi al mediatore è effettivamente esperito il tentativo di mediazione e, dunque, assolta la condizione di procedibilità della domanda.
Nel caso di specie, all’incontro di mediazione la parte opposta non ha partecipato all'incontro dinanzi al mediatore e neppure ha partecipato a mezzo del legale rappresentante, né a mezzo del difensore, ma è comparso un legale delegato dal difensore della medesima; la delega, però, non integra i requisiti della procura sostanziale a partecipare all'incontro di mediazione e non ha data certa anteriore allo stesso incontro di mediazione; di conseguenza, tale delega non legittima la partecipazione dell’avvocato presente alla mediazione in rappresentanza della parte opposta.
Inoltre, neppure la parte opponente è comparsa personalmente, essendo presente dinanzi al mediatore il procuratore alle liti.
Pertanto, nessuna delle parti ha partecipato all'incontro di mediazione personalmente o a mezzo di procuratore speciale e per tale ragione il Tribunale ha dichiarato improcedibile la domanda e, per l'effetto, revocato il decreto ingiuntivo, condannando la parte opposta alla refusione delle spese di lite in favore dell'opponente.

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Ultimo aggiornamento Giovedì, Maggio 02 2024
  
23
Aprile
2024

E’ procedibile l’azione preceduta dall’esperimento del procedimento di mediazione in luogo della negoziazione assistita;

Tribunale di Napoli, 28.04.2023, sentenza n. 4416, Giudice Estensore Pisciotta.

SINTESI: Il caso in esame riguarda una vertenza in materia di indennità ex art.843 c.c., preceduto dal tentativo di mediazione.
Parte convenuta eccepiva, tra le varie, l'improcedibilità dell'azione per il mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita.
In merito, il Tribunale ha così statuito:

  • sia la mediazione che la negoziazione assistita sono strumenti finalizzati alla risoluzione stragiudiziale delle controversie e a deflazionare il contenzioso giudiziario;
  • la differenza principale tra i due istituti è che nella negoziazione gli avvocati hanno un ruolo centrale nella ricerca dell'accordo, mentre nella mediazione il ruolo centrale è delle parti;
  • inoltre, il procedimento della mediazione segue un percorso conciliativo di maggiore e migliore efficacia;
  • per tali ragioni, il procedimento di mediazione è assorbente rispetto al procedimento di negoziazione assistita e prevalente sullo stesso nelle ipotesi di azioni contenenti più domande che richiedono l'applicazione di entrambi gli istituti;
  • l'esperimento del tentativo di mediazione in luogo del procedimento di negoziazione assistita risponde, comunque, alla ratio della normativa in tema di negoziazione assistita;
  • anche se la controversia fosse stata soggetta alla procedura di negoziazione assistita, l'esperimento della mediazione rende l'azione procedibile;

Pertanto, il Tribunale ha rilevato che nel caso in esame, la condizione di procedibilità sia stata soddisfatta, essendo stato validamente attivato il procedimento di mediazione, e per tale motivo ha rigettato l'eccezione preliminare di improcedibilità dell’azione.

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Ultimo aggiornamento Martedì, Aprile 23 2024
  
17
Aprile
2024

Impugnazione di una delibera assembleare: se l’istanza di mediazione è troppo generica, la successiva domanda giudiziale viene dichiarata improcedibile e inammissibile l’impugnazione per intervenuta decadenza;

Tribunale di Roma, 29.02.2024, sent. n. 3910, giudice Maria Grazia Berti.

SINTESI: Un condomino intendeva impugnare una delibera assembleare, depositava quindi l’istanza di mediazione, chiedendo la convocazione del Condominio, ma motivando semplicemente la domanda con una sola indicazione:
Impugnazione delibera assembleare del ….”

La mediazione aveva esito negativo e il condomino chiamava quindi in giudizio il Condominio, producendo il verbale di mediazione e illustrando, stavolta, nella domanda giudiziale, i motivi per i quali chiedeva al Tribunale di accertare e dichiarare la nullità e/o l’annullabilità e/o, comunque, l’illegittimità e l’invalidità della delibera suddetta.
Il condominio convenuto si costituiva in giudizio, impugnando e contestando le deduzioni attoree ed eccependo, in via preliminare, l’improcedibilità della domanda e la conseguente tardività della impugnazione.
Il convenuto rilevava che l’attore aveva sì invitato il condominio in mediazione, chiedendo genericamente l’impugnazione della delibera, senza tuttavia specificare i motivi di impugnazione e i vizi della delibera, rendendo di fatto non assolta la condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 e, di conseguenza, tardiva l’impugnazione.
La difesa del convenuto sosteneva infatti che l’istanza di mediazione fosse priva dei requisiti minimi per la sua validità e che fosse da considerarsi quindi non assolta la previsione dell’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 28/2010 che specifica come nell’istanza debbano essere indicati “l’oggetto e le ragioni della pretesa”.
Il Tribunale di Roma concordava pienamente con quanto dedotto dal convenuto e dichiarava quindi improcedibile l’impugnazione della delibera, condannando anche l’attore soccombente al pagamento delle spese di lite.
Il Giudice Maria Grazia Berti illustrava esaustivamente i motivi della decisione:

  • Vista la ratio deflattiva della mediazione, l’istanza con la quale si intende impugnare una delibera assembleare deve necessariamente avere un contenuto minimo che è quello indicato dall’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 28/2010 che poi è praticamente equivalente al dettato dell’art. 125 c.p.c. circa il contenuto degli atti processuali (esclusi solo gli “elementi di diritto”)
  • Se manca, come nel caso di specie, qualsiasi riferimento ai singoli motivi di imputazione che costituiscono, fra l'altro, ciascuno autonoma causa petendi o ancora del petitum, è impedito alla parte chiamata non solo di conoscere la materia del futuro contendere, ma anche di partecipare con cognizione di causa al procedimento di mediazione
  • Nel caso di specie la mancata indicazione degli elementi essenziali dell'istanza ha, fra l'altro, impedito ai condomini di valutare in assemblea l'opportunità o meno di autorizzare l'amministratore a prendere parte a tale procedimento, sostenendone i relativi costi (la mediazione era evidentemente avvenuta ante Riforma Cartabia)
  • Una domanda di mediazione generica sotto il profilo del petitum e della causa petendi non può quindi considerarsi validamente espletata e comporta l'improcedibilità della domanda. Il Tribunale di Roma non ritiene condivisibili le deduzioni dell'attore il quale riteneva che l'istanza così formulata, pur ammettendo la sua genericità, sarebbe stata comunque sufficiente a consentire la partecipazione di parte convenuta la quale avrebbe pur sempre potuto chiedere maggiori delucidazioni nel corso del primo incontro. 
    L'improcedibilità della domanda giudiziale comporta per giunta la definitiva inammissibilità dell'impugnazione della delibera assembleare per intervenuta decadenza: l'effetto interruttivo del termine, prodotto dall'instaurazione del procedimento di mediazione, non può dirsi realizzato in presenza di un'istanza e di un procedimento svolto in modo irregolare.
    Se in altri casi sarebbe possibile, per il giudice, rimandare le parti in mediazione per l'esperimento di un'ulteriore procedura conciliativa, in questo caso sarebbe un'iniziativa in contrasto con la specifica normativa dettata per la decadenza dei termini, e ad ogni modo non consentirebbe di sanare la tardività dell'impugnazione qualora tempestivamente eccepita dalla parte.
    Consentire ad un soggetto di avvalersi del beneficio dell'impedimento della decadenza con la mera presentazione di un’istanza che non presenti i requisiti minimi di validità, significherebbe infatti svilire l'istituto della mediazione ad un mero adempimento burocratico, in contrasto con la ratio ad essa sottesa ed incentivare il suo uso meramente dilatorio, a beneficio di un'unica parte.
    Una domanda di mediazione generica sotto il profilo del petitum e della causa petendi non può quindi considerarsi validamente espletata e comporta l'improcedibilità della domanda di mediazione depositata.
    La mancanza del contenuto minimo dell'istanza di mediazione comporta perciò anche la mancata corrispondenza fra l'istanza di mediazione stessa e la domanda giudiziale.
    Il Tribunale di Roma ricorda quindi cosa sia previsto dalla norma come necessarie indicazioni da inserire nell'istanza di mediazione in caso di impugnazione di una delibera assembleare:
    la delibera che si intende impugnare;

  • l'enunciazione del provvedimento (nullità o annullabilità) che si intende richiedere al giudice in ipotesi di fallimento della conciliazione;

  • la sintetica indicazione dei motivi di impugnazione (causa petendi).

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Ultimo aggiornamento Mercoledì, Aprile 17 2024
  
15
Aprile
2024

Sopraelevazioni in condominio: i vani ricavati sul terrazzo vanno abbattuti se violano condizioni statiche e aspetto architettonico;

La realizzazione di una tettoia sul terrazzo, poi trasformata in soggiorno e cucina, è illegittima se non rispetta i limiti dell’art. 1127 c.c. (Tribunale Velletri n. 512/2024).

SINTESI: 1. Il caso

Un condomino, residente all'ultimo piano di un edificio, aveva inizialmente costruito una tettoia "ad elle" sul proprio terrazzo, trasformandola successivamente in due distinti vani: un soggiorno con annessa cucina e un ripostiglio. Tali modifiche avevano portato, secondo la valutazione effettuata dal consulente tecnico d'ufficio incaricato di valutare la situazione, ad un incremento del peso sostenuto dal fabbricato, quantificato in circa 100 chili per metro quadrato.Alla luce di tale intervento, veniva chiesta la demolizione e/o rimozione delle opere realizzate con il contestuale ripristino dei luoghi in quanto in contrasto con il regolamento condominiale e l’art. 1127 del Codice civile.

2. L’art. 1127 del Codice civile e i limiti sottesi

L’art 1127 del Codice civile dispone che il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano non è assoluto ma incontra alcune limitazioni.Il primo limite è che la facoltà di sopraelevazione può essere esclusa per effetto di un titolo contrario. Il secondo limite è subordinato alla circostanza dell’idoneità statica del fabbricato a sopportare la nuova costruzione. Infine, l’ultimo limite prescritto si concretizza nel pregiudizio all’aspetto architettonico dell’edificio e della notevole diminuzione dell’aria e/o della luce derivanti dalla sopraelevazione. Il caso di specie, analizzato dal Tribunale di Velletri con sentenza n. 512, del 04-03-2024, si sofferma espressamente su due limiti:

  • la condizione statica dell’edificio in cui viene realizzata la sopraelevazione;
  • turbamento delle linee architettoniche.

3. Le condizioni statiche dell’edificio

Le condizioni statiche dell’edificio rappresentano un ostacolo al sorgere ed all’esistenza stessa del diritto di soprelevazione. Il limite delle condizioni statiche si sostanzia nel potenziale pericolo per la stabilità del fabbricato derivante dalla sopraelevazione.L’accertamento di tale pericolo costituisce poi oggetto di un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Corte di Cassazione sentenza del 30 novembre 2012, n. 21491). La stessa Cassazione precisa che la norma non fa riferimento ad un accertamento delle condizioni statiche, né ad opere di consolidamento, vietando pertanto la sopraelevazione quando la statica risulti inadeguata a sostenerla (Corte di Cassazione sentenza del 29.1.2020, n. 2000). In un’ottica ancor più restrittiva rientra la sopraelevazione realizzata in violazione delle specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche: tale divieto va interpretato nel senso che il divieto sussiste anche nel caso in cui non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia inidonea a fronteggiare il rischio sismico (Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza del 12.2.1987, n. 1541; Corte di Cassazione sentenza del 15.11.2016, n. 23256). In tali casi i condomini possono opporsi alle nuove opere, incompatibili con le condizioni statiche dell'edificio, a prescindere da ogni rafforzamento o consolidamento che il sopraelevante fosse disposto ad eseguire, così rafforzando la natura di limite assoluto alla stessa esistenza del diritto riconosciuto al proprietario dell'ultimo piano (Corte di Appello Napoli, 9.3.2006). Nel caso di specie, il Tribunale di Velletri, dando per scontato che l’intervento debba essere qualificato come sopraelevazione, evidenzia come la realizzazione dei due vani abbia incrementato il peso sul fabbricato per circa 100 chili al metro quadrato (secondo quanto riportato dalla perizia). Il Tribunale, nel valutare la condotta della parte convenuta, sottolinea l'importanza della dimostrazione della sicurezza antisismica dell'opera eseguita e dell'edificio nel suo complesso. Tale dimostrazione avviene tipicamente attraverso la presentazione di una progettazione antisismica specifica che includa un'analisi dettagliata della struttura complessiva e delle fondamenta del fabbricato. In questo caso, però, tale prova non è stata fornita dalla parte convenuta (come evidenziato anche dalle osservazioni del Consulente Tecnico d'Ufficio). Il Tribunale, richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali, pone l'accento sulla necessità di una rigorosa aderenza alle normative di sicurezza, specialmente in contesti condominiali.L'intervento di sopraelevazione, nel caso di specie, è stato realizzato senza una corretta progettazione antisismica e senza le dovute verifiche tecniche pregiudica la sicurezza strutturale dell'edificio, violando la normativa antisismica.

4. L’aspetto architettonico del fabbricato

La questione dell'impatto estetico e architettonico è il secondo limite richiamato dall’art. 1127 cod. civ. ed è stato oggetto di specifica attenzione da parte della giurisprudenza. La sentenza del Tribunale di Velletri offre un'importante interpretazione in merito alla distinzione e al contempo alla relazione esistente tra la nozione di "aspetto architettonico" e quella di "decoro architettonico", così come delineate all'articolo 1120 del Codice Civile italiano. Il Tribunale chiarifica che, benché le due nozioni siano distinte, esse non possono essere considerate in modo completamente separato l'una dall'altra quando si tratta di interventi edificatori, in particolare le sopraelevazioni. In realtà già la Corte di Cassazione con sentenza del 24 aprile 2013, n. 10048, aveva delineato la distinzione tra le nozioni di "decoro" e "aspetto architettonico", sottolineando come il limite estetico sia rappresentato non dal mancato abbellimento, ma piuttosto dall'alterazione o dal pregiudizio arrecato al decoro e all'aspetto architettonico dell'edificio, precisando che l'analisi dell'impatto architettonico di una sopraelevazione debba concentrarsi sulle caratteristiche estetiche visivamente percepibili dell'edificio, considerato nella sua autonomia stilistica (Corte di Cassazione sentenza del 23 luglio 2020, n. 15675).

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Ultimo aggiornamento Lunedì, Aprile 15 2024
  
05
Aprile
2024

La valutazione delle prove nel processo civile;

La valutazione delle prove nel processo civile è un'attività regolamentata dall'art. 116 comma 2 c.p.c, che lascia libero il giudice di effettuare le sue valutazioni in base al suo prudente apprezzamento, salvo eccezioni:

  • Cos'è la valutazione delle prove
  • I principi fondamentali in tema di prove (Anche per le Mediaziioni) ove si ricorda che il tutto è sottoposto agli artt. 103-200 C.P.P.
  • Il prudente apprezzamento delle prove libere
  • Le prove legali
  • Contegno delle parti e argomenti di prova

Cos'è la valutazione delle prove

La decisione del giudice in ordine a una controversia sottoposta alla sua attenzione dalle parti deve fondarsi sulla valutazione delle prove raccolte durante il processo. Tale valutazione segue regole e criteri individuati dall'ordinamento. A questo proposito, di particolare importanza appaiono le disposizioni contenute nell'art. 116 c.p.c., che regolano l'attività del giudice in questa delicata fase del giudizio.

I principi fondamentali in tema di prove

Preliminarmente, è opportuno ricordare alcuni fondamentali principi del processo civile in tema di acquisizione delle prove al giudizio. Innanzitutto, va ricordata la regola basilare dell'onere della prova: in base all'art. 2697 del codice civile l'attore provare i fatti costitutivi del proprio diritto, di contro il convenuto è tenuto a dimostrare gli eventuali fatti modificativi, impeditivi o estintivi dello stesso. Detto questo, va anche ricordato che, in base al principio di acquisizione della prova, il giudice è libero di porre a fondamento della propria decisione qualsiasi prova, a prescindere dalla parte che ne abbia proposto l'acquisizione. Ciò significa, in sostanza, che una prova potrebbe anche essere utilizzata a sfavore di chi ne ha chiesto l'ammissione. Infine, va anche ricordato il principio di disponibilità delle prove, secondo cui i mezzi di prova devono essere acquisiti su richiesta di parte (o del Pubblico Ministero), fatta eccezione per i casi in cui la legge prevede la possibilità di acquisizione d'ufficio, cioè per iniziativa del giudice (cfr. art. 115 c.p.c.). Quest'ultima norma prevede inoltre, al comma 2, la possibilità per il giudice di fondare la propria decisione su nozioni che rientrano nella comune esperienza.

Il prudente apprezzamento delle prove libere

Ciò premesso, l'art. 116 c.p.c. si occupa di regolare l'attività di valutazione delle prove da parte del giudice.La regola fondamentale, al riguardo, è che il giudice è libero di valutare le prove secondo il proprio prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga diversamente. Ciò significa che, una volta ammesse e assunte le prove, il giudice possa scegliere quale o quali di esse porre a fondamento della decisione finale, in base a un ragionamento che segua le regole della logica e della comune esperienza. Di tale valutazione, ovviamente, il giudice deve rendere conto nelle motivazioni della sentenza, spiegando le ragioni per le quali ha ritenuto determinate prove dotate di maggior forza di convincimento rispetto ad altre.

Le prove legali

La regola del prudente apprezzamento del giudice conosce delle eccezioni, poiché vi sono dei casi in cui il valore di una prova non è rimesso alla libera valutazione del giudice (seppure guidata dalle regole della logica e della comune esperienza), ma è predeterminato dalla legge: si tratta delle c.d. prove legali.È quanto accade, ad esempio, nel caso delle prove documentali come l'atto pubblico oppure nella confessione e nel giuramento: in tali circostanze, il giudice deve di regola dare per provato quanto affermato dal dichiarante, diversamente da quanto accade nella testimonianza (che, invece, è considerata prova libera).

Contegno delle parti e argomenti di prova

Il secondo comma dell'art. 116 c.p.c. infine autorizza il giudice a desumere argomenti di prova dalle seguenti circostanze:

  • risposte delle parti in sede di interrogatorio libero (disposto ai sensi dell'art. 117 c.p.c.);
  • rifiuto ingiustificato delle parti a consentire le ispezioni (ordinate ai sensi dell'art. 118 c.p.c.);
  • contegno delle parti nel processo.Al riguardo, va segnalato che la riforma del processo civile Cartabia ha previsto conseguenze processuali e sanzioni pecuniarie nei seguenti casi, (anche quando è stata eseguita una Mediazione prima):rifiuto non giustificato di consentire l'ispezione di persone o cose ordinata dal giudice, alle parti o a terzi, per conoscere i fatti della causa, ai sensi dell'art. 118 c.p.c (condanna alla pena pecuniaria da Euro 500 a Euro 3000);

  • rifiuto o inadempimento non giustificato dell'ordine di esibire in giudizio un documento o un'altra cosa, impartito dal giudice a una parte o a terzi, su istanza di parte, ai sensi dell'art. 210 c.p.c (condanna della parte alla pena pecuniaria da Euro 500 a Euro 3000 e condanna del terzo a una pena pecuniaria da Euro 250 a Euro 1.500).

In generale, comunque, va detto che gli argomenti di prova non sono sufficienti, da soli, a fondare la decisione finale del giudice, ma possono servire a quest'ultimo per orientarsi nell'attività di valutazione delle prove acquisite al giudizio, Tranne quando si tratta di una Mediazione in quanto il tutto è sottoposto a Segretezza e Riservatezza Artt. 103 e 200 C.P.P..

Sul tema, può essere utile ricordare una pronuncia della Corte di Cassazione, secondo cui, "la norma dettata dall'art. 116, comma 2, c.p.c., nell'abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell'interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre «argomenti di prova», e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze" (Cass. civ., n. 443/02).


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Ultimo aggiornamento Lunedì, Aprile 08 2024
  

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