Cortile condominiale, la questione dell’uso esclusivo rimessa alle Sezioni Unite;

Sabato, Dicembre 28 2019 Scritto da Administrator  

Il contrasto giurisprudenziale sulla configurabilità di un diritto d'uso esclusivo su beni comuni (Cassazione civile, ordinanza intelocutoria 02/12/2019, n. 31240/2019)

Attribuire l’uso esclusivo della cosa comune ad uno solo dei condividenti, lasciando agli altri utilità minori o addirittura nulle, darebbe luogo ad una “conformazione” negoziale della comproprietà, che potrebbe postulare un controllo circa l’esistenza, sotto il profilo causale, di un interesse meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 secondo comma c.c., in attuazione degli artt. 41, secondo comma e 42 Cost.. Con l’ordinanza interlocutoria n. 31420/2019 la Suprema Corte di Cassazione, sez. II civile, esamina la complessa questione, già decisa in maniera difforme dalle sezioni semplici, relativa all’apposizione, alla natura e ai limiti di un diritto d’uso esclusivo su beni comuni. Muovendo dall’analisi del dato giurisprudenziale la Corte prospetta vantaggi e criticità di un diritto frutto dell’autonomia negoziale, del tutto distinto e autonomo rispetto al diritto d’uso di cui all’art. 1021 c.c., in attesa della pronuncia risolutiva sul punto da parte delle Sezioni Unite. I fatti: I proprietari di due unità immobiliari in condominio convenivano in giudizio altri due condomini, proprietari dell’appartamento al primo piano e di un negozio posto al piano terra. Gli attori denunciavano l’illegittima realizzazione, da parte dei convenuti, di una cantina nel cortile comune e l’occupazione abusiva di una porzione di suolo condominiale con due pensiline, poi tamponate con pannelli. Lamentavano anche l’esistenza, all’interno del cortile comune, di un piccolo locale ad uso bagno, costruito (a loro dire abusivamente) dalle precedenti proprietarie dell’appartamento, poi venduto ai convenuti. Chiedevano quindi la rimozione di tutti i manufatti abusivi e il risarcimento dei danni. I condomini convenuti opponevano la piena legittimità delle tettoie costruite, riferendo che sia il titolo intercorso con le danti causa, sia l’atto costitutivo del condominio prevedevano l’uso esclusivo della corte antistante il negozio. In ogni caso sostenevano di aver ormai acquisito il diritto d’uso per usucapione. Quanto ai manufatti eretti dalle precedenti proprietarie ne affermavano la natura comune, concludendo per il rigetto delle domande inerenti le tettoie, previo accertamento del relativo diritto sull’area, e per l’affermazione della comproprietà delle altre opere. Il Tribunale di Rimini rigettava la domanda attorea, rilevando l’acquisto del diritto d’uso esclusivo dell’area antistante il negozio da parte dei convenuti in forza dell’atto intercorso con le danti causa. Escludeva inoltre che la costruzione delle verande integrasse un’ipotesi di utilizzo illegittimo del bene, anche ai sensi dell’art. 1102 c.c.. Il gravame proposto in via principale dagli attori veniva respinto dalla Corte d’Appello di Bologna che accoglieva invece quello incidentale dei convenuti, dubitando della natura condominiale della corte antistante l’edificio e prospettandone piuttosto la natura di pertinenza. I Giudici rilevavano che sia l’atto di divisione, costitutivo del condominio, sia quello con cui i convenuti avevano acquistato la proprietà del negozio contemplavano l’“uso esclusivo della corte” da parte dei proprietari. Un uso esclusivo, quello menzionato nei contratti, che secondo i Giudici di merito “non avrebbe a che fare con il diritto d’uso ex art. 1021 c.c., ma costituirebbe comunque un "uso delle parti condominiali ex artt. 1102 e 1122 c.c.", ben potendosi contemplare "particolari diritti di utilizzazione" esclusivi dei beni comuni”. Con la conseguenza di ritenere legittimo l’utilizzo esclusivo della corte, anche se avente natura condominiale e anche se preclusivo di analoga possibilità di godimento da parte degli altri comproprietari, perché voluto in origine da tutti i condomini. Di qui il rigetto della domanda attorea inerente l’abusiva occupazione della porzione del suolo (asseritamente comune) da parte dei convenuti. Il diritto d’uso esclusivo sui beni comuni: All’esito del ricorso proposto dai condomini soccombenti, la Corte di Cassazione è chiamata a valutare se possa costituirsi un diritto d’uso esclusivo su beni comuni, ed eventualmente quali siano natura e limiti di tale diritto. Nella specie si ha riguardo ad un cortile che come tale potrebbe dirsi oggetto di comunione pro indiviso in forza della presunzione legale di cui all’art. 1117 c.c., relativa alle parti dell’edificio che per ubicazione e struttura sono destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali. Peraltro la giurisprudenza reputa sufficiente a tal fine che il bene comune abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo e cioè che sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva fin dalla costituzione del condominio. Ciononostante la Corte d’Appello ha dubitato della natura condominiale dell’area cortilizia, ritenendo che l’uso esclusivo della corte antistante i negozi, proprio perché riconosciuto nell’atto di divisione del fabbricato e poi ceduto agli originari convenuti con l’atto di compravendita, non sarebbe assimilabile al diritto d’uso ex art. 1021 c.c., trattandosi piuttosto di un diverso titolo di uso delle parti condominiali. Un uso esclusivo della porzione di corte comune da parte dei convenuti che, in ragione di quanto detto, costituirebbe quindi un vincolo reale sul bene la cui efficacia e conoscibilità sono state affidate al richiamo nelle provenienze. La giurisprudenza sul punto diritto d’uso ex art. 1021 c.c. e uso esclusivo sulle parti comuni: La Corte rammenta come già un proprio precedente (Cass., Sez. 2, sent. n. 24301 del 16/10/2017) avesse escluso la riconducibilità al diritto d’uso ex art. 1021 c.c. di un vincolo reale di “uso esclusivo” su parti comuni dell’edificio, riconosciuto in favore di un’unità immobiliare di proprietà individuale al momento di costituzione di un condominio. Un vincolo tale, specifica la Corte, da incidere sulla disciplina del godimento della cosa comune, nel senso di precluderne l’uso collettivo e attribuire solo ad alcuni dei condomini la facoltà di servirsi integralmente della cosa, traendone tutte le utilità compatibili con la sua destinazione economica. Muovendo dalle nozioni di “uso individuale” e di “uso esclusivo”, contenute rispettivamente agli artt. 1122 e 1126 c.c., la pronuncia ha ritenuto che simili previsioni pattizie, pur non precludendo totalmente la fruizione del bene da parte degli altri condomini, costituiscano vere e proprie deroghe all’art. 1102 c.c.. Secondo questa ricostruzione l’uso esclusivo si trasmetterebbe anche ai successivi aventi causa dell’unità cui accede, al pari dei tradizionali poteri del proprietario sulle parti comuni: sarebbe quindi tendenzialmente perpetuo e trasferibile, senza scontare i limiti (di durata, trasferibilità ed estinzione) del diritto d’uso ex art. 1021 c.c. al quale non è appunto riconducibile. Neppure vi sarebbe contrasto con il numero chiuso dei diritti reali, poiché l’uso esclusivo condominiale sarebbe altro e più precisamente una manifestazione del diritto del condomino sulle parti comuni. Criticità: La ricostruzione prospettata appaga indubbiamente l’esigenza, avvertita soprattutto dalla pratica notarile, di conferire al diritto d’uso esclusivo di parti condominiali il rango di diritto perpetuo e trasmissibile, a contenuto non strettamente personale, collegando la facoltà di usare il bene non ad un soggetto ma direttamente a una porzione in proprietà individuale, senza limiti temporali. Si pongono tuttavia altri problemi di non poco conto, legati principalmente alla qualificazione di tale diritto: evitare di assimilarlo ai diritti reali di godimento su cosa altrui non risolve infatti il problema della trascrivibilità, e quindi dell’opponibilità, dell’uso esclusivo sulla cosa comune. D’altronde non sembra possibile annoverarlo tra le servitù prediali: sia perché ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fini esclusivamente propri (quindi il condomino utilizzasse il cortile condominiale lo farebbe in quanto tale e non avvalendosi di una servitù), sia perché il contenuto della servitù non può consistere in un godimento generico e addirittura esclusivo del fondo servente, nè in una generale esclusione di ingerenze altrui. Anche la qualificazione come obbligazione propter rem non convince, ostandovi la tipicità delle obbligazioni reali e le tassative formalità pubblicitarie, previste a fini di opponibilità, dall’art. 2645 c.c.. Più in generale la questione ripropone il ben noto problema inerente l’utilizzabilità delle obbligazioni come espressioni di autonomia privata, volte a regolare le modalità di esercizio dei diritti reali. Tesi peraltro osteggiata da quanti ritengono che la libertà negoziale possa conformare unicamente i rapporti di debito e non anche le situazioni reali, che costituiscono appunto un numero chiuso in risposta ad esigenze di ordine pubblico. Attribuire l’uso esclusivo della cosa comune ad uno solo dei condividenti, lasciando agli altri utilità minori o addirittura nulle, darebbe luogo, osserva la Corte, ad una “conformazione” negoziale della comproprietà, tale da postulare un controllo circa l’esistenza, sotto il profilo causale, di un interesse meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 secondo comma c.c., in attuazione degli artt. 41, secondo comma e 42 Cost.. Conclusioni: In ragione delle difformità di pronunce rese dalle sezioni semplici e della particolare importanza della questione, anche alla luce della diffusa pratica negoziale implicata, la Corte ha ritenuto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

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Ultimo aggiornamento Domenica, Aprile 11 2021