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OMCI - Organismo di Mediazione

L’amministratore di condominio in mediazione;

Prime osservazioni sui possibili riflessi della legge delega n. 206 del 26 novembre 2021 in materia di mediazione delle liti condominiali.

1) Quadro normativo: obiettivi della legge delega

La riforma del processo civile prevista dalla recente legge-delega 26 novembre 2021 n. 206 prevede un unico articolo costituito da ben 44 commi, a loro volta ripartiti in diversi sotto commi. Al fine di rendere effettiva la riforma, il Governo sarà tenuto ad adottare uno o più decreti legislativi attuativi (recanti il riassetto formale e sostanziale del processo civile), che dovranno essere emanati entro un anno dalla sua entrata in vigore.
In linea generale, la legge sopra menzionata enuncia una serie di importanti principi e criteri direttivi tesi alla semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, nel rispetto della garanzia del contraddittorio.
Sennonché, tra i principali scopi cui tende la nuova normativa, rientra, a pieno titolo, anche quello di incentivare maggiormente il ricorso alle procedure stragiudiziali di risoluzione alternativa delle controversie, con particolare attenzione alla mediazione civile e commerciale.
In particolare, basti pensare che al fine di sostenere il rimedio deflattivo del contenzioso appena citato la legge in commento prevede (all’art. 1, IV c., lett. a), persino, il riordino e la semplificazione della disciplina degli incentivi fiscali concernenti tale istituto.

2) L’autonomia dell’amministratore in mediazione

Con il presente contributo sarà offerta una prima disamina delle novità introdotte dalla legge delega n. 206, nell’ambito della mediazione avente ad oggetto le controversie condominiali.
Segnatamente, osserveremo come il legislatore abbia finalmente dettato opportune linee guida dirette a colmare radicate lacune che, di fatto, andavano a frenare oltremodo la mediazione delle liti sorte in ambito condominiale.
Ai fini che qui interessano, occorre muovere, anzitutto, dal disposto normativo di cui all’art. 71 quater, III co., disp. att. c.c., a tenore del quale l’amministratore è legittimato a partecipare alla procedura di mediazione “previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’art. 1136, secondo comma, c.c.”.
Orbene, la prima criticità cui la nuova legge – delega intende porre rimedio è rappresentata dal fatto che l’amministratore, per avviare il tentativo di conciliazione, sia tenuto a richiedere l’autorizzazione dall’assemblea dei condomini.
Accade sovente, infatti, che i tempi di convocazione di detto organo decisionale costringano l’amministratore a rinviare il primo incontro di mediazione; va da sé come siffatto rinvio, oltre a dilatare la complessiva durata del procedimento mediativo e, quindi, ridurre sensibilmente il tempo utile per addivenire ad un accordo, esponga le parti al concreto rischio di non riuscire a concludere la procedura conciliativa entro il (breve) termine di tre mesi.
A ciò deve aggiungersi l’ulteriore criticità che risiede, anch’essa, nel preventivo obbligo di interpellare i condomini, i quali - come frequentemente accade – potrebbero assumere un atteggiamento “ostruzionistico” nei confronti di un singolo condomino o di terzi, così precludendo (o quanto meno ritardando) l’avvio di un fattivo dialogo tra i contendenti.
Ebbene, per far fronte alle problematiche sopra descritte, la nuova normativa ha accordato in favore dell’amministratore una maggiore autonomia anche nell’ambito della procedura di mediazione: segnatamente, l’art. 1, comma 4, lett. h: stabilisce testualmente che: “l'amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi…”.
Pertanto, viene ora riconosciuto all’amministratore la facoltà di dare impulso alla procedura di mediazione.
Che, a ben vedere, una maggiore autonomia dell’amministratore di condominio era già prevista in ambito giudiziale con riferimento ai casi di cui all’art. 1131 c.c. (norma che fa espresso rinvio alle specifiche attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c.) rispetto ai quali, come si sa, l’amministratore può agire in giudizio senza il preventivo assenso dell’assemblea. Si pensi, a titolo esemplificativo, al disposto di cui all’art. 63, primo comma, disp. att. c.c., secondo il quale l’amministratore può richiedere un’ingiunzione di pagamento nei confronti del condòmino moroso senza bisogno di essere previamente autorizzato dall’assemblea dei condomini.
Nel prossimo futuro, analoga autonomia sarà dunque prevista anche con riferimento all’avvio della mediazione.
Anzi, pare che la legge delega n. 206 abbia quasi tratto spunto dalle norme del codice civile da ultimo menzionate, con la conseguenza che l’amministratore, tanto nella fase monitoria quanto nella conseguente (eventuale) procedura di mediazione, sarà ex lege dotato di un ampio potere di iniziativa.
È chiaro, tuttavia, come un consistente incremento dei suindicati poteri finisca per generare, proporzionatamente, nuovi obblighi in capo all’amministratore medesimo, il quale sarà ritenuto direttamente responsabile nei confronti dei condòmini nelle ipotesi di mancato avvio della mediazione (omissione che potrebbe, addirittura, determinare una declaratoria di improcedibilità della domanda), oppure, ancora, nel caso di omessa partecipazione senza giustificato motivo.

3) L’accordo di conciliazione e la proposta del mediatore

Ed ancora, l’art. 1, comma 4, lett. h dispone altresì che: “…l'accordo di conciliazione riportato nel verbale o la proposta del mediatore sono sottoposti all'approvazione dell'assemblea condominiale che delibera con le maggioranze previste dall'articolo 1136 del codice civile e che, in caso di mancata approvazione, la conciliazione si intende non conclusa o la proposta del mediatore non approvata.
Orbene, proseguendo con l’analisi comparativa dei surrichiamati disposti normativi emerge, altresì, che la legge delega n. 206, oltre a menzionare la proposta (del mediatore), quale lemma già previsto nell’ambito dell’art. 71 quater disp. att. c.c., fa anche riferimento ad un accordo che potrà essere raggiunto tra amministratore e la controparte (condòmino o terzo), prima che il mediatore - in caso appunto di mancato accordo - formuli una propria proposta conciliativa.
Ebbene, si ritiene che l’introduzione di questo “doppio binario” debba essere ricondotto nella scelta del legislatore di attribuire maggiore autonomia all’amministratore, con la conseguenza che quest’ultimo non potrà più prendere parte alla mediazione in modo “passivo”, ossia limitandosi a riferire ai condomini quanto proposto dall’altra parte, bensì avrà il potere (e il dovere) di esperire un concreto tentativo di risoluzione della lite, profondendo l’impegno necessario al raggiungimento di un accordo.
Ne consegue, dunque, che tale intesa di massima, ove venisse raggiunta dall’amministratore in sede di mediazione, sarebbe poi rimessa al vaglio dell’assemblea dei condomini non già quale “mera proposta” formulata dalla controparte, ma come vera e propria ipotesi di conciliazione già ritenuta (dall’amministratore) degna di approvazione.
Ben si comprende, quindi, come il nuovo potere di avviare in autonomia la procedura di mediazione non andrà a compromettere, né tantomeno a ridimensionare, il ruolo che è proprio dell’assemblea dei condomini, quale “organo” deliberante dotato dei maggiori poteri decisionali, chiamato ad approvare o rigettare l’accordo di massima, secondo le maggioranze previste dall’articolo 1336, secondo comma, c.c., a mente del quale: “Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio”.
Proprio con riferimento al quorum costitutivo richiesto per l’approvazione dell’accordo raggiunto in mediazione, occorre rilevare che secondo taluni giuristi il fatto che la nuova norma richiami per intero l’art. 1136 c.c. (senza fare specifico riferimento al secondo comma), consentirà all’assemblea di deliberare con il più agevole quorum stabilito dal terzo comma, dell’art. 1136, c.c. il quale stabilisce che: “La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio”.
Ove poi l’assemblea dei condomini non dovesse approvare, secondo le suindicate modalità, l’intesa raggiunta dall’amministratore, l’accordo dovrà considerarsi come non concluso.
Qualora invece le parti (amministratore e condomino/terzo) non riuscissero ad addivenire ad un’intesa, neppure di massima, sarà compito del mediatore formulare una proposta conciliativa, la quale dovrà, in ogni caso, essere rimessa al potere decisionale dell’assemblea.

4) Osservazioni conclusive
Alla luce di quanto innanzi, ciò che appare sin da subito evidente è che il legislatore, tramite la legge delega in commento, abbia voluto nuovamente valorizzare le ADR e, in particolare, l’istituto della mediazione, prevedendo specifici e mirati correttivi tesi ad aumentarne l’efficacia deflattiva.
La piena fiducia riposta dal legislatore nella procedura mediativa si evince anche sotto il profilo dell’inquadramento sistematico – normativo.  Ed invero i criteri direttivi enunciati dalla legge delega in materia di mediazione occupano, le “prime posizioni” nell’ambito dell’unico articolo da essa introdotto; ciò quasi a voler riservare una maggiore attenzione in favore della mediazione civile e commerciale giustificata, non a caso, dai più recenti dati  empirico – statistici, che dimostrano come tale strumento rappresenti il più efficiente rimedio di gestione dei conflitti sorti negli edifici condominiali, poiché in grado di preservare  - nella maggior parte dei casi- i rapporti che intercorrono tra i soggetti che animano queste micro – società.  
Questi importanti risultati raggiunti dalla procedura disciplinata dal D. Lgs. n. 28/2010 possono certamente ricondursi alla sua elevata flessibilità, intesa quale capacità di individuare, con il fondamentale ausilio del mediatore – professionista, un ampio novero di soluzioni in grado di soddisfare gli interessi e le esigenze delle parti coinvolte.

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