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OMCI - Organismo di Mediazione

I Buoni Fruttiferi Postali: si può e si deve ambire a risolvere in Mediazione con Poste Italiane;

Bisogna puntare i riflettori sull'argomento per contribuire ad aumentare la sensibilizzazione nei confronti dell’Istituto della Mediazione ed attribuire in capo agli “assenti ingiustificati” le responsabilità dei costi aggiuntivi che le parti sopportano per partecipare al tentativo obbligatorio di Mediazione.  Molti risparmiatori hanno adito l’Autorità Giudiziaria poichè - ritenendo di aver acquistato, a partire dal 1984, dei buoni postali fruttiferi ordinari come forma di risparmio e accantonamento per la propria vecchiaia e che rappresentassero delle forme di investimento sicure in quanto a capitale e rendimento garantiti - si sono ritrovati dinanzi a tutt’altra realtà alla scadenza del titolo. La questione è esplosa quando i primi risparmiatori, portando all’incasso i titoli, apprendevano di non poter incassare le somme calcolate prendendo a riferimento la stampigliatura insistente sul buono, in quanto Poste Italiane riconosceva loro somme decisamente inferiori, determinate in base ad una modifica in peius del tasso di interesse, disposta con D.M. successivo alla emissione dei titoli stessi.
Da ultimo sulla materia si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite.
Ad avviso del Supremo Consesso (sentenza n. 3963/19 depositata l'11 gennaio) la variazione del tasso di interesse, disposta unilateralmente dalla Pubblica Amministrazione, secondo la disciplina applicabile ratione temporis, attribuiva sostanzialmente al titolare del buono il diritto al recesso e tutelava il suo affidamento sull'effettività del diritto a percepire gli interessi indicati dal titolo.
Il caso esaminato dagli Ermellini è quello di un risparmiatore che aveva acquistato dei buoni postali fruttiferi negli anni 1982 e 1983. Tali buoni erano stati presentati all'incasso solo nel dicembre del 2004 e l'ufficio postale pagatore, applicando una modifica in pejus del tasso di interessi, disposta con D.M. del Tesoro in data 13 giugno 1986, aveva erogato 32mila euro, somma nettamente inferiore a quella di 70mila euro calcolata sulla base della originaria tabella stampigliata sui titoli. Le sezioni Unite hanno respinto il ricorso del risparmiatore, precisando che al rapporto dedotto in lite, insorto negli anni 1982-1983, si applica il testo dell'art. 173 del codice postale (come novellato dall'art. 1 d.l. n. 460/1974 e convertito in l. n. 588/1974) a mente del quale:
a) era consentito alla pubblica amministrazione variare il tasso di interesse, relativo ai buoni già emessi, con decreto ministeriale da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale.
b) I buoni soggetti alla variazione del tasso di interesse dovevano considerarsi rimborsati con gli interessi al tasso originariamente fissato e convertiti nei titoli della nuova serie con il relativo tasso di interesse.
c) A fronte della variazione del tasso di interesse era consentita al titolare la scelta di chiedere la riscossione dei buoni, ottenendo gli interessi corrispondenti al tasso originariamente fissato, ovvero quella di non recedere dall'investimento che avrebbe da quel momento prodotto gli interessi di cui al decreto di variazione, salvo il diritto del risparmiatore di ottenere la corresponsione degli interessi originariamente fissati per il periodo precedente alla variazione.
Hanno chiarito, ancora, che la modalità di comunicazione all'interessato della intervenuta nuova prescrizione ministeriale circa l'ammontare dei tassi di interesse dei buoni fruttiferi postali, è affidata dal legislatore alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Resta, in ogni caso, una materia dibattuta, e i “risparmiatori traditi” spesso optano per chiedere le somme con un decreto ingiuntivo; finora i magistrati hanno accolto le richieste monitorie poichè  “dai documenti prodotti il credito risulta certo, liquido ed esigibile”. Poste Italiane ha poi 40 gg per opporre il D.I.; in altri casi, invece, scelgono di adire l’A.G. con una citazione, al fine di poter avanzare anche una richiesta di risarcimento danni.
Pare fuor di dubbio che sia obbligatorio il tentativo di risoluzione della lite in mediazione, sia per le Poste Italiane in caso di loro opposizione a D.I., che per il risparmiatore “attore” nel caso che opti per il giudizio ordinario.
La materia de qua, infatti, deve essere ricondotta tra i “contratti assicurativi, bancari e finanziari” ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n.28/2010.
Nonostante ciò spesso Poste Italiane non aderiscono all’invito di recarsi in mediazione.
Se l’invito non viene seguito da una adesione della parte invitata, purtroppo rimane un costo privo di beneficio rispetto alla ratio voluta dal legislatore con l’introduzione della obbligatorietà.
Se Poste italiane decidesse, come linea generale, di aderire agli incontri in mediazione questo permetterebbe un margine di trattativa molto ampio ed una valutazione caso per caso con una rilevante riduzione dei costi per le parti in contenzioso. E’ necessario, quindi, da un lato, per noi mediatori continuare a monitorare la giurisprudenza in materia in modo da avere un quadro più chiaro entro cui ricercare insieme alle parti un accordo, dall’altro lato sarebbe necessario che Poste Italiane aderisse agli incontri con l’intento di addivenire fattivamente ad una soluzione stragiudiziale della vicenda. Non è certo facile proporre una soluzione per far sì che l’Istituto nazionale decida di intervenire fattivamente agli incontri di mediazione, ma puntare i riflettori sull’argomento potrà certamente contribuire ad aumentare la sensibilizzazione nei confronti dell’Istituto della Mediazione ed, al contempo, attribuire in capo agli “assenti ingiustificati” le responsabilità dei costi aggiuntivi che le parti sopportano per partecipare al tentativo obbligatorio.

Copyright © 2024 Omci - Organismo di Mediazione e Conciliazione Italia. Tutti i diritti riservati.
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