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Mediazione: l’assente deve essere sollecitato a partecipare?

Tribunale, Vasto, ordinanza 29/01/2018

Laddove una delle parti invitate alla mediazione obbligatoria ex lege o delegata non compaia all’incontro preliminare, il mediatore non può limitarsi a constatare l’insussistenza dei presupposti per l’introduzione delle trattative, ma deve adottare ogni opportuno provvedimento per stimolarne la partecipazione. In difetto, la parte interessata a provocare il perfezionamento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale è tenuta ad invitare il mediatore ad attivare in tal senso, pretendendo che tale richiesta sia annotata a verbale.

A stabilirlo è il Tribunale di Vasto, ordinanza 29 gennaio 2018.

L’ordinanza resa dal Tribunale di Vasto (in persona del Giudice Dott.ssa Anna Rosa Capuozzo) alla data del 29 gennaio 2018, che questo contributo intende succintamente commentare, segna, con tutta verosimiglianza, lo stadio più avanzato nel percorso giurisprudenziale di valorizzazione dell’istituto della mediazione obbligatoria, intendendosi con tale locuzione sia il procedimento imposto dalla legge, sia quello demandato dal Giudice.

Il provvedimento in questione, in estrema sintesi, sancisce i seguenti principi:

  • il litigante deve presenziare personalmente agli incontri di mediazione, non essendo sufficiente a tal fine il solo intervento del difensore, benché munito di procura ad litem; la parte può delegare un terzo a partecipare alla procedura, purché esso non coincida con l’avvocato medesimo;
  • il mediatore, ove constati l’assenza della parte, è chiamato ad impiegare ogni opportuno rimedio per sanare l’anomalia, eventualmente anche invitando informalmente il difensore a suggerire al suo cliente di comparire personalmente;
  • la parte interessata a rendere procedibile l’azione giudiziale dovrà spendersi per favorire l’incontro personale fra i contendenti, sì da consentire al mediatore di esperire in maniera seria ed effettiva il tentativo di conciliazione;
  • la procedura non può reputarsi correttamente evasa laddove, a fronte dell’assenza dell’invitato, l’istante sia rimasto inertenon abbia richiesto al mediatore di prodigarsi per favorire l’incontro, astenendosi dal verbalizzare domande di questo genere.

Simile ragionamento si colloca nel solco di un orientamento ermeneutico che, ad integrazione di un dato legislativo estremamente carente ed in omaggio alla funzione di deflazione del contenzioso giudiziale sottesa alD.Lgs. 4 marzo 2010, n° 28, ha amplificato notevolmente gli oneri imposti alla parte affinché la sua domanda giudiziale sia reputata procedibile.

Tuttavia, anche la più severa giurisprudenza in termini, sino a questo momento, mai aveva preteso che l’istante, constatata la diserzione della controparte, non comparsa all’incontro preliminare neppure a mezzo del difensore, si peritasse (ulteriormente) per consentire il confronto.

La decisione in discorso, invece, giunge a tale (paradossale) conclusione, postulando, in buona sostanza, che il dovere dell’istante di negoziare diligentemente sopravviva al conclamato rifiuto dell’invitato, tradottosi, addirittura, nell’assoluta latitanza dal tavolo delle trattative.

Simile affermazione non può condividersi perché, oltre a stridere con le modalità pratiche con cui, normalmente, si declina la parentesi conciliativa, contraddice gran parte dei principi normativi che governano l’istituto, unitamente alle norme di diritto positivo che lo regolano.

Da un punto di vista pragmatico, l’omessa comparizione della parte (sia personalmente, che tramite il difensore) all’incontro di mediazione delegata esprime, nella quasi totalità dei casi, un radicale rifiuto al raggiungimento dell’accordo amichevole o anche solo a raffrontarsi serenamente con le altrui pretese, contestazioni ed aspirazioni.

Se tale atteggiamento è senz’altro discutibile, oltre che sanzionabile a livello processuale con molteplici rimedi punitivi (desunzione di argomenti di prova ex art. 116, 2° comma, c.p.c., condanna al versamento all’entrata del bilancio dello Stato del contributo unificato ex art. 8, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 28/2010, condanna alle spese di lite anche in ipotesi di soccombenza ex artt. 91 c.p.c. e 13, D.Lgs. n. 28/2010; anche recentemente, peraltro, la giurisprudenza ha spiegato che la resistenza alla mediazione, se non sorretta da adeguata giustificazione, è singolarmente stigmatizzabile, anche se riferibile alla parte vittoriosa, illustrando che, “in caso di mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione delegata del terzo chiamato, se è vero che il dato testuale della norma impedisce la condanna della parte renitente non soccombente, tuttavia al disvalore della sua condotta non partecipativa ai tentativi di conciliazione è applicabile il combinato disposto degli artt. 92 e88 c.p.c., laddove la mancanza di lealtà è individuata proprio nella mancata partecipazione, sia per gli effetti sul singolo procedimento che per il valore in sé che la partecipazione al procedimento conciliativo detiene nelle intenzioni del legislatore e sul piano sociale”: Trib. Roma, sez. XIII, 30 novembre 2017, n. 22475), magari dispensabili con maggiore frequenza rispetto a quanto avviene nella prassi.

Tuttavia, non si comprende davvero per quale ragione simile omissione, anziché determinare la chiusura del procedimento di mediazione e, nella successiva fase processuale, l’irrogazione alla parte inerte delle relative sanzioni, dovrebbe generare, in capo al contendente diligente, un obbligo suppletivo di diligenza e di cooperazione, consistente nel sollecitare al confronto, anche per il tramite del mediatore, una controparte palesemente refrattaria al dialogo.

 

 

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